L’Orfeo di Trisha Brown: il mito tra danza pura ed eloquenza mimica
DOI:
https://doi.org/10.13135/2389-6086/9675Parole chiave:
danza, Orfeo, Trisha Brown, canto lirico, postmodern danceAbstract
Nel 1998 la coreografa americana Trisha Brown, pioniera della post-modern dance, propone presso il Théâtre Royal de la Monnaie a Bruxelles una personale lettura dell’Orfeo di Monteverdi, per la quale offre la propria esperienza di innovatrice al confronto con un mito fondante della cultura occidentale e con la celebre partitura di Monteverdi del 1607, pietra miliare della storia del melodramma e del teatro europeo. Per la Brown, artista connotata da un approccio concettuale alla composizione coreografica, fu quella un’opportunità per approfondire la riflessione sul rapporto tra narrazione e astrazione, nonché la possibilità di verificare e rinnovare la propria ricerca sul movimento, accettando la sfida imposta dal dialogo con la complessità della partitura musicale e con la stratificazione culturale della tradizione. Tuttavia, se l’intelligenza del progetto coreografico e registico furono essenziali nel decretare il successo dell’opera, nell’articolo si evidenzia come sia il corpo del cantante il ‘luogo’ dove rintracciare i segnali di quella che Brown ammette essere una svolta nel proprio percorso artistico. Inoltre, soffermarci oggi su questo particolare aspetto della produzione artistica di Trisha Brown ci sembra interessante anche in considerazione di una valutazione retrospettiva sulla post-modern dance, sulla sua eredità storica e sulle questioni ancora generative legate alla grande sperimentazione sul corpo e sulla scrittura del gesto che ha caratterizzato il periodo compreso fra gli anni Sessanta e Ottanta.