Divismo e forme filmiche: la sequenza performativa come idea-forma
DOI:
https://doi.org/10.13135/1970-6391/11363Abstract
Un produttore italiano del secondo dopoguerra aveva tutto l’interesse a ingaggiare un’attrice di fama: Loren, Pampanini, Mangano, Lollobrigida, ecc. La presenza di una diva faceva lievitare il valore produttivo di qualsiasi progetto, e con ciò non solo la sua potenzialità commerciale a valle (con gli spettatori), ma anche la sua bancabilità a monte (presso i distributori). D’altra parte, i servizi di un’interprete di tal fatta costavano cari, e fatto l’investimento, contrattualizzata la diva, era indispensabile salvaguardarlo, l’investimento, e massimizzarne l’ipotetica rendita. Lo statuto divistico di un’attrice si traduceva, per il produttore, in un capitale simbolico da amministrare e i film recavano indelebili le tracce di questa «amministrazione». La sequenza in cui l’attrice di fama era impegnata in numeri di canto/ballo rivestiva a mio giudizio particolare importanza dal punto di vista retorico. Era strategica per la sua capacità di coniugare felicemente espressività (valore di intrattenimento), consegne narrative (caratterizzazione del personaggio e avanzamento dell’intreccio) e appunto vedettizzazione: valorizzazione filmica del «corpo divistico» femminile. Sulla base dell’analisi delle strategie ricorrenti di strutturazione e sofisticazione, il presente saggio intende proporne una modellizzazione di massima.
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