“An aunt who was a bit of a feminist”
Ford politico e la sceneggiatura di "Il massacro di Fort Apache"
DOI:
https://doi.org/10.13135/1970-6391/11364Abstract
John Ford è spesso considerato, talvolta liquidato, come un autore “patriarcale”: un Irish-American molto legato alle sue origini cattoliche, specializzato in generi “maschili” quali il western e il war film; un membro entusiasta della Marina degli Stati Uniti, durante e dopo la Seconda guerra mondiale, che non perdeva occasione per sfoggiare la sua uniforme; il regista legato a filo doppio a John Wayne, il più vistosamente reazionario dei divi di Hollywood. Non è solo ora, in tempi di woke culture, che la figura di Ford risulta problematica sul piano politico. Già quando era vivo, John Ford veniva spesso indicato come un conservatore, se non addirittura un razzista. La prima monografia italiana a lui dedicata, scritta da Tullio Kezich negli anni Cinquanta, di fatto giudica tutti i film di Ford successivi a Stagecoach (Ombre rosse, 1939) e The Grapes of Wrath (Furore, 1940) irrilevanti sul piano artistico e destrorsi su quello politico.
Questo tipo di lettura, inevitabilmente, anche per il semplice fatto che il corpus fordiano è composto da circa 150 titoli, non regge a un’analisi attenta. Innanzi tutto, negli anni Trenta, Ford si definisce un socialdemocratico (cfr. Dan Ford, p. 79) e The Grapes of Wrath è senza dubbio uno dei film più a sinistra mai usciti dagli studios hollywoodiani nel periodo classico. E anche dopo la Seconda guerra mondiale, quando certo Ford “svolta a destra”, i suoi film, così come le sue prese di posizione pubbliche, sono tutt’altro che univoci in termini politici. Se in molti film troviamo un evidente amore per l’istituzione militare, personaggi come quelli interpretati da Henry Fonda in Fort Apache (Il massacro di Fort Apache, 1948) e Karl Malden in Cheyenne Autumn (Il grande sentiero, 1964) offrono una netta condanna del militarismo. Se, da un lato, The Sun Shines Bright (Il sole splende alto, 1953) contiene molti degli stereotipi oggi considerati razzisti sul mito del Vecchio Sud e della lost cause, dall’altro la trama del film – un film realizzato in pieno maccartismo – gira attorno a uno dei temi più caldi e controversi della storia dei rapporti tra bianchi e neri in America (e altrove): l’accusa, che si rivelerà falsa, di stupro di una donna bianca da parte di un nero, un meccanismo narrativo che Ford riprende anche in un film successivo, Sergeant Rutledge (I dannati e gli eroi, 1960). E un discorso analogo vale anche per la rappresentazione delle figure femminili e dei rapporti uomo-donna. Come ha messo in evidenza Gaylyn Studlar, i western di Ford sono in buona misura estranei al paradigma fiedleriano del maschio in fuga dalle donne e dal matrimonio. Nel suo cinema, western e non, il patriarcato non è mai trionfante, ma sempre in via di disgregazione, sotto i colpi della modernità.
Dopo un inquadramento generale sul Ford politico, il saggio si concentrerà su uno specifico case study, Fort Apache, lavorando in particolare sui materiali dei John Ford Papers (il soggetto, le biografie dei personaggi, e la sceneggiatura), esaminando i quali la natura progressista e finanche femminista del film, già evidente in proiezione, diviene ancora più chiara e spiazzante.
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