Mangiare sintetico
Una riflessione su arte, cibo e tecnologie intorno all’opera di Marzia Migliora "Lo spettro di Malthus"
DOI:
https://doi.org/10.13135/1970-6391/11359Abstract
L’articolo analizza le modalità con le quali il cibo è stato rappresentato, utilizzato, mediato e in ultima analisi interpretato nelle pratiche artistiche in rapporto alla tecnologia e allo sviluppo tecnologico e attraverso una serie di casi di studio emblematici. Sin dagli anni Sessanta, la ricerca artistica ha infatti intercettato e prefigurato alcuni dei temi centrali della discussione sulla produzione, sostenibilità e riconversione dei sistemi economici e politici alla base dello sfruttamento capitalistico delle risorse naturali, all’interno dei quali le tecnologie hanno avuto – e hanno ancora – un ruolo centrale. Ciò ha dato origine a diverse declinazioni del tema, a partire dalle strategie processuali e poveriste, che hanno per lo più rifiutato questo confronto utilizzando i cibi in senso simbolico spesso a scapito della dimensione sensoriale, recuperata nelle pratiche sociali, partecipative e relazionali. Radicate negli anni precedenti, dagli anni Ottanta si moltiplicano le indagini sul rapporto tra dimensione naturale e artificiale, rapidamente estese all’idea di corpo ibrido e post-umano. Negli ultimi due decenni gli artisti hanno risposto alle sfide poste dall'Antropocene e dal Capitalocene, anche affidandosi in modo apparentemente paradossale alle più sofisticate tecnologie – per esempio la realtà virtuale – come strumenti per riconnettere gli esseri umani con la natura e con le risorse disponibili.
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