L’ermeneutica come ricostruzione della razionalità
Pensiero debole o “pensiero dei deboli”?
DOI:
https://doi.org/10.13135/2036-542X/7535Abstract
Tra i numerosi equivoci più o meno rilevanti che sono sorti attorno al pensiero debole, il meno trascurabile è senza dubbio quello che attribuisce all’ermeneutica di Gianni Vattimo la scelta di abbandonare in toto il lessico della razionalità, per sostituirlo con un’imprecisata opzione irrazionalistica. Dalla tesi nietzscheana secondo cui tutto è interpretazione, molti hanno derivato l’idea che per l’ermeneutica “debolista” non vi sarebbero né verità né argomentazione, ma soltanto il flusso indefinito dei discorsi culturalmente situati. Questa lettura contestualista del pensiero di Vattimo ha avuto buon gioco a diffondersi e a riscuotere un discreto successo, anche grazie al forte impulso che negli ultimi decenni del ’900 hanno registrato gli studi sul multiculturalismo e sull’antropologia culturale, in Europa e in Italia. Più o meno esplicitamente, il pensiero debole è stato dunque interpretato come un vasto terreno comune, tanto ampio quanto indeterminato, in grado di tenere assieme diversi approcci e sensibilità teoriche, senza porre in alcun modo l’esigenza di una sintesi.