Quasi-cose
Dalla situazione affettiva alle atmosfere
DOI:
https://doi.org/10.13135/2036-542X/7524Abstract
«Non è sempre necessario che il vero prenda corpo; è già sufficiente che aleggi nei dintorni come spirito e provochi un accordo, come quando il suono delle campane fluttua nell’atmosfera grave e amichevole» (Heidegger 1969: 27). In questo passo di Heidegger (il quale, tra l’altro, a sua volta cita Goethe), Vattimo da un lato saluta la riscoperta, non solo metaforica, della spazialità, dall’altro avverte però il rischio di una deriva misticheggiante (Vattimo 1985: 87). “Urbanizzando” tale valorizzazione dello spazio, Vattimo preferisce farla interagire, infatti, con l’idea gadameriana dell’architettura come arte che “fa spazio” alle altre (Gadamer 1960: 159), nell’intento di sottrarre ogni enfatica inauguralità alla nozione heideggeriana di Erde. Nel gioco vertiginoso suggerito da Heidegger tra la località disposta dall’opera, ossia il nuovo ordinamento spaziale suggerito dal porsi in primo piano dell’opera plastica, e la «libera vastità della contrada» (Heidegger 1969: 23), cioè la periferia (l’aldilà contestuale) dell’opera, Vattimo cerca, in ultima analisi, una conferma alla tesi dell’apertura della verità come sfondo (o addirittura “sfondamento”), come traspropriazione e «presa di congedo dall’essere metafisico e dai suoi caratteri forti» (Vattimo 1985: 94).