Dal teatro di Jan Fabre
Attitudini performative del corpo sulla scena: quali forme di presenza, e quali mimesi?
DOI:
https://doi.org/10.4000/mimesis.397Abstract
L’idea della performance come compimento di un atto è confermata dai Performances Studies. Per il tramite di Richard Schechner, esponente di primo piano degli studi americani sulla performance, capiamo come ogni atto performativo si basa, quanto meno, su tre operazioni: l’essere (being), il fare (doing) e il mostrare il fare (showing doing). La performance pertanto attiene ad un processo di attivazione del corpo che si concede alla vista, in un dato spazio. Ed è per questo che le Performaces Arts appaiono innanzitutto come l’espressione della presenza concreta dell’artista, al di qua e prima di qualunque procedimento mimetico o di rappresentazione differita. Tuttavia, come poter ammettere che, pur nell’autonoma produzione hic et nunc di un corpo, quest’ultimo non attiva nessun riferimento nello sguardo di chi vi assiste dall’esterno? L’articolo intende esplorare le condizioni di presenza di un corpo sulla scena, in particolar modo per quel che riguarda il corpo del danzatore, e nello specifico il danzatore-performer nel teatro di Jan Fabre. Da una prima riflessione teorica circa le condizioni di teatralità nell’atto performativo, si passerà a definire meglio lo spazio della creazione mimetica facendo riferimento all’idea di mimesis presente in Hans-Georg Gadamer, per il quale «ogni imitazione vera è una metamorfosi». Nei testi della raccolta L’attualità del bello (1977) il filosofo parla di un processo intensivo del reale (corpi, cose, pensieri) che conduce questi stessi elementi di realtà verso una dimensione simbolica. Questo processo imitativo o rappresentativo – della metamorfosi intensiva – lo ritroviamo all’opera nel danzatore-performer prestato al genio creativo di Fabre.