Abstract
Il contributo intende analizzare la fortuna del romanzo storico-antropologico sul finire del Novecento come genere che da un lato si fa erede della tradizione ottocentesca e manzoniana, dall’altro trae spunto dall’esplosione del romanzo sudamericano, avvenuta negli anni Settanta grazie alla fenomenale affermazione di Cent’anni di solitudine. L’affermarsi di tale modello è stato anche l’occasione per ridare vigore al gusto di una narrativa epica (o neoepica), entrata in crisi nei primi anni Sessanta a causa del ruolo della neoavanguardia.

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