Gli spettri della Mara Salvatrucha 13: capire le paure e le percezioni della diaspora salvadoregna

Autori

  • Donna De Cesare

Parole chiave:

Mara Salvatrucha, El Salvador, Diaspora, Immigrazione, Sicurezza

Abstract

“Vediamo quello che sta accadendo negli Stati Uniti”, dice Armando, “e ci preoccupa”. In quanto residente legale in Italia, emigrato 27 anni fa da El Salvador per vivere, lavorare e crescere la sua famiglia nel Nord Italia, Armando è sempre più spaventato dalla retorica anti-immigrazione che sta prendendo piede. Quello che Armando teme è lo stigma ma anche dalla possibile diffusione della Mara Salvatrucha 13 (MS-13) e di altre gang transnazionali originarie degli Stati Uniti e dell’America centrale. Mentre per gli Italiani questa è una preoccupazione lontana, l’impatto della violenza nei paesi d’origine e le politiche statunitensi hanno effetti sulla vita dei migranti centroamericani, anche a distanza.

Soyapango, El Salvador, 1995.
A death squad known as the “Black Shadow” is carrying out a social cleansing policy aimed at youth in gangs. This graffiti appears on a wall near the place where one homeboy was killed.
Copyright © Donna De Cesare,1995

Nonostante un futuro apparentemente sicuro in Italia, Armando controlla regolarmente le notizie provenienti dai tre paesi che più influiscono sulla sua vita e su quella della sua famiglia: El Salvador, Stati Uniti e Italia. Segue le vicende politiche in El Salvador e negli Stati Uniti guardando le trasmissioni televisive sul suo computer. Sul telefono riceve invece gli aggiornamenti Facebook che pubblica sua cognata dalla Georgia sui raid e sulle detenzioni di immigrati privi di documenti messi in atto dalla United States Immigration Control and Customs Enforcement (ICE) nella sua città, Atlanta, e a Los Angeles, misure che minacciano di dividere intere famiglie a causa delle deportazioni. Los Angeles è l’altra principale area metropolitana in cui vivono i membri della sua famiglia, alcuni come cittadini statunitensi e altri no. Armando si tiene anche aggiornato sulle vicende della comunità locale grazie ai compagni di calcio e legge La Stampa tutti i giorni per capire quello che gli Italiani pensano e dicono sugli immigrati.

San Bartolo, El Salvador, 1996
Youth from the marginal barrios of San Salvador look up to deportees and returnees who used to live in the United States.

Se paragonata alle crescenti paure in Europa sull’immigrazione di persone di cultura musulmana, la consapevolezza della presenza centramericana in Italia è decisamente più limitata. Armando racconta come spesso i giornali propongano storie che collegano gli immigrati al mondo del crimine. I Salvadoregni passano quasi sempre inosservati perché sono prevalentemente cattolici o evangelici protestanti, hanno la reputazione di grandi lavoratori e generalmente entrano in Italia legalmente in numeri molto inferiori ai migranti provenienti da est o dal Mediterraneo. Armando ricorda però un giornalista italiano che la scorsa primavera continuava a fargli domande sulla gang MS-13 durante una partita di calcio. Armando non è a conoscenza di problematiche legate alle gang nella città in cui vive, ma ci sono segnalazioni sulla presenza di MS-13 in altre città italiane. Per svariate ragioni, la MS-13 continua a essere il suo incubo peggiore.

L’attuale Presidente degli Stati Uniti afferma spesso che gli immigrati illegali sono la causa della morte di molte persone innocenti e cita frequentemente la gang MS-13 per giustificare il duro trattamento riservato agli immigrati. Nonostante la paura e le sofferenze siano più acute fra i lavoratori migranti che hanno costruito le loro vite negli Stati Uniti, tali affermazioni – e le scelte politiche che ne derivano – creano uno stato di ansia anche fra le comunità della diaspora latinoamericana in Europa. L’insistenza della Casa Bianca a voler investire miliardi di dollari per costruire un muro al confine con il Messico mette in pericolo il programma “Deferred Action for Childhood Arrivals” (DACA) grazie al quale circa 700.000 giovani hanno la possibilità di lavorare o proseguire gli studi universitari negli Stati Uniti. Fra i beneficiari del programma DACA ci sono oltre 66.000 giovani le cui famiglie sono scappate dal Centro America alla ricerca di protezione dalla violenza delle gang nei loro paesi. Ancora più tragica per i Salvadoregni è stata l’interruzione del programma di status di protezione temporanea (temporary protected status, TPS) che offriva a onesti Salvadoregni senza cittadinanza statunitense l’opportunità di rimanere legalmente nel paese per un periodo di tempo indeterminato. Molti hanno figli con cittadinanza statunitense, vite e attività che hanno costruito nell’arco degli ultimi vent’anni negli Stati Uniti. Hanno rispettato le leggi e si trovano oggi vulnerabili alla possibilità di essere deportati.

Gli Stati Uniti hanno una lunga storia di criminalizzazione e stigmatizzazione degli immigranti nonostante il paese si ritenga al tempo stesso fiero di essere una nazione di immigrati. Gli Irlandesi e gli Italiani che migrarono in massa verso gli Stati Uniti durante il XIX e XX secolo furono vittime di discriminazioni e pregiudizi e vennero classificati come criminali, ubriaconi, rissosi, mafiosi e indesiderati, tanto nella stampa quanto nei discorsi politici. Il problema nel XXI secolo è che simili diffamazioni hanno ampie ripercussioni e sono profondamente divisive, con conseguenze potenzialmente gravissime anche in ambito sociale. Fraintendere o trascurare la natura dinamica di gang come la MS-13 può generare politiche che intensificano la violenza e l’alienazione nelle enclaves di immigrati. Le deportazioni possono equivalere a sentenze di morte.

San Salvador, El Salvador, 1995
Gang recruits make the sign of a gang they may decide to join at a restaurant where a US deportee has taken them for a meal.
Copyright © Donna De Cesare,1995

La mia ricerca etnografico-visiva ha documentato fin dall’inizio degli anni Novanta le prime fasi della diffusione di MS-13 e della Eighteen Street Gang (o Barrio 18), da Los Angeles – dove sono nate – all’America centrale, quando l’amministrazione Clinton ha iniziato a deportare in massa giovani che non erano cittadini e che avevano legami con queste street organization statunitensi. Come ho poi approfondito nel libro Unsettled/Desasosiego: Children in a World of Gangs (2013), negli anni Novanta non era insolito che giovani non cittadini che entravano minorenni nel sistema penitenziario venissero deportati al termine della pena una volta raggiunta la maggiore età. Molti dei membri di gang che ho incontrato e intervistato fra il 1993 e il 1994 in El Salvador erano stati deportati dagli Stati Uniti così. Separati dalle famiglie e dalle reti sociali di supporto, la gang era tutto quello che gli rimaneva.

Ho anche incontrato qualche membro delle gang di Los Angeles che ha lasciato gli Stati Uniti volontariamente. Alcuni sono tornati in El Salvador per non dover testimoniare in casi giudiziari contro altri membri e quindi evitare le ritorsioni per “aver fatto la spia”. In altri casi, genitori preoccupati decisero di rimandare i figli in El Salvador convinti che, una volta superato il conflitto, fosse un posto più sicuro, lontano dall’influenza delle gang statunitensi.  Nell’arco di pochi anni le gang si sono quindi affermate e diffuse. Nei quartieri più marginalizzati i giovani del posto vedevano i membri delle gang come figure eroiche e mondane, decidendo così di unirsi a esse non solo in El Salvador, ma anche in Guatemala e in Honduras.

Accademici come Jose Miguel Cruz e Sonja Wolf hanno studiato l’impatto che deportazioni e politiche come quella statunitense di “Gang Crackdowns” o quelle di Mano Dura in America centrale hanno avuto sullo sviluppo delle gang. In qualche modo la logica della Mano Dura riflette lo scarso impianto strategico e morale delle pratiche di controguerriglia utilizzate negli anni Ottanta dall’esercito salvadoregno col supporto militare degli Stati Uniti durante le guerre civili in America centrale. In quel periodo intere popolazioni vennero colpite per sospetti legami con la guerriglia del Fronte Farabundo Martí per la Liberazione Nazionale (FMLN). L’effetto fu quello di mobilitare più ribelli. Gang come la MS-13 non sono parte di un’insurrezione politica e la loro ideologia e i loro obiettivi sono spesso contraddittori. Sono però tenaci e posseggono grandi capacità di adattamento. Nel caso dei membri di gang fedeli al gruppo e socializzati in extremis attraverso la violenza, il conflitto, e la sopravvivenza alla brutale esperienza del carcere salvadoregno, la tendenza principale è quella di un rafforzamento dei legami con la gang.

Le posizioni degli esperti di law enforcement che osservano le gang prevalentemente da una prospettiva di mera sicurezza sono spesso agli antipodi rispetto a quelle di esperti di politiche di immigrazione, i quali invece vedono le più ampie ripercussioni che risultano dal considerare le comunità di immigrati – che sono tra l’altro quelle maggiormente perseguitate dal fenomeno — come comunità di accoglienza per gang. Se le forze di polizia diventano de facto “immigration enforcement“, le comunità più vulnerabili smetteranno di denunciare i crimini, lasciando un vuoto che permetterà ad altri attori di dettar legge. L’FBI è consapevole di queste implicazioni, ma nonostante ammetta che la MS-13 con i suoi circa 10.000 membri negli Stati Uniti sia di gran lunga più piccola di altre street gang presenti nel paese, definisce il gruppo come una sofisticata organizzazione criminale transnazionale. Studiosi come la Wolf sono scettici e vedono i rischi che tale distorsione può comportare per le comunità di immigrati negli Stati Uniti. I tentativi falliti di trovare prove tangibili sul fatto che la MS-13 stia accumulando ricchezze – anche in America centrale, dove la sua influenza è maggiore – rivelano poi come la MS-13 rappresenti una reazione a ineguaglianze strutturali e sistemiche piuttosto che un’associazione criminale interessata a soldi e potere.

Allo stesso tempo, in America centrale esistono altri fattori che meritano attenzione. A seguito del collasso nel 2013 di una tregua fra gang che aveva dimezzato l’astronomico tasso di omicidi in El Salvador, le gang si sono frazionate e le ostilità sono aumentate. Nel 2017, nelle Americhe solo il numero di omicidi in Venezuela era maggiore di quelli in El Salvador. Il tasso salvadoregno di 60 omicidi ogni 100.000 persone è superiore di circa 75 volte rispetto a quello italiano. Per El Salvador, però, esso rappresenta una modesta flessione se paragonato ai dati del 2016, quando il numero era più alto. Eppure la percezione pubblica è che la violenza in El Salvador stia aumentando e, di conseguenza, i salvadoregni continuano a emigrare.

Un’inchiesta di InSight Crime pubblicata a febbraio riassume la storia della MS-13 e offre una panoramica della sua struttura, dell’uso che la gang fa della violenza, delle sue limitazioni economiche, dei suoi valori e obiettivi contraddittori e della sua tenacia. L’inchiesta conclude spiegando come la MS-13 sia prima di tutto un’organizzazione sociale e solamente in seconda battuta un fenomeno criminale, sostenendo che dovrebbe essere considerata una gang transnazionale piuttosto che un’organizzazione criminale.

La politica statunitense ha però la capacità di piegare la realtà al proprio volere. E questa è una delle cose che più preoccupa gli studiosi di gang. In un recente articolo sul The Washington Post, Cruz ha affermato che il presidente Trump, puntando il dito alla MS-13 per spaventare gli Americani a tal punto da favorire severe restrizioni all’immigrazione, sta ingigantendo il pericolo posto dalle gang negli Stati Uniti e, utilizzando il fenomeno per demonizzare gli immigrati latinoamericani, sta costruendo muri all’interno delle città che alieneranno intere comunità, rischiando di rafforzare ulteriormente le organizzazioni criminali negli Stati Uniti e oltreoceano.

Armando non legge il The Washington Post, ma non ne ha bisogno per capire che quello che sta succedendo negli Stati Uniti e in El Salvador avrà degli effetti sui salvadoregni in Italia. “Se gli Stati Uniti deportano tutti in El Salvador, queste persone cosa faranno?” mi chiede, gesticolando. Mi spiega poi che conosce già persone che hanno ricevuto suppliche disperate da parte dei propri cari in El Salvador che vogliono venire in Italia. “La gente si sforza per far spazio e accogliere i parenti anche quando non hanno un lavoro per loro stessi. Prima questo non accadeva: nessuno veniva in Italia se non si aveva un lavoro ad attenderlo” – dice Armando scuotendo la testa – “ma con la maggiore violenza degli ultimi anni e gli Stati Uniti che chiudono la porta ai sogni… è una bomba a orologeria”.

Armando teme che la presenza della MS-13, per quanto piccola o mera imitazione, attiri l’attenzione dei media italiani e che questo possa orientare commenti negativi verso la sua comunità in un momento in cui i partiti politici europei usano i sentimenti anti-immigrazione per raccogliere consensi. “Abbiamo paura che quello che sta succedendo negli Stati Uniti capiti anche qui”.

Per saperne di più:

Cruz, J. M. (2018) “Trump is wrong about MS-13. His rhetoric will make it worse”, The Washington Post. Disponibile su: https://www.washingtonpost.com/news/posteverything/wp/2018/01/31/trump-is-wrong-about-ms-13-and-his-rhetoric-will-make-it-worse/?utm_term=.41a07eb996f8

De Cesare, D. (2016) “The children of war street gangs in El Salvador”, NACLA Report on the Americas, vol. 32(1). Disponibile su: https://doi.org/10.1080/10714839.1999.11725660

Dudley, S. (2018) “MS13 is a street gang, not a drug cartel – and the difference matters”, InSight Crime. Disponibile su: https://www.insightcrime.org/news/analysis/ms13-street-gang-not-drug-cartel/

Stillman, S. (2018) “When deportation is a death sentence”, The New Yorker. Disponibile su: https://www.newyorker.com/magazine/2018/01/15/when-deportation-is-a-death-sentence

Wolf, S. (2017) “Distorting the MS-13 threat”, NACLA Reporting on the Americas. Disponibile su: https://nacla.org/news/2017/10/06/distorting-ms-13-threat

Published in:

##submission.downloads##

Pubblicato

2019-07-29