Cambiamento climatico e (in)sicurezza umana in Africa
Parole chiave:
Africa, Cambiamento climatico, SicurezzaAbstract
I fenomeni violenti sono ampiamente richiamati dai media e la violenza pare un tratto persistente delle società. Eppure, alcuni studiosi – tra cui spicca Steven Pinker con il suo “The Better Angels of Our Nature” – argomentano che la violenza stia progressivamente declinando sotto la spinta di forze “civilizzatrici”, che superano cioè la natura considerata da Hobbes intrinseca all’essere umano. Questi studiosi immaginano, almeno implicitamente, un futuro promettente, caratterizzato da maggiore altruismo, cooperazione e inclusione. Ma Il cambiamento climatico, inteso come fonte impersonale di violenza, è forse il muro contro il quale tale visione ottimista può cozzare? Il cambiamento climatico globale è stato talvolta definito una “terza guerra mondiale”, suggerendo che i suoi effetti saranno fonte di conflitto, smentendo dunque qualsiasi tesi a favore di un presunto declino della violenza umana. Questo articolo si colloca in questo solco, prendendo in esame il cambiamento climatico come potenziale fonte di disordine, disfunzione sociale e conflitto. A tal fine sono prese in esame ricerche condotte in Africa, che aiutano a configurare il cambiamento climatico come un ostacolo al prosperare della pace e alla sicurezza umana. Conclude l’articolo una breve riflessione sulle lezioni che l’Africa potrebbe condividere con il resto del mondo per combattere gli effetti dati dall’intensificazione del cambiamento climatico a livello globale.
Dovendosi confrontare con condizioni climatiche radicalmente mutate, l’Africa sembra oggi dover fronteggiare sfide comparabili a quelle affrontate da Sansone Agonista, epiteto dato al Sansone biblico da John Milton. L’Africa vive di agricoltura, settore che, da solo, impiega il 64% dei lavoratori. Oltre al neocolonialismo, alle epidemie ricorrenti, al saccheggio delle risorse, alle profonde divisioni etniche, all’accaparramento delle terre (o land grabbing) alle guerre civili e al ruolo fortemente indebolito dello stato, i contadini africani devono far fronte a crescenti avversità climatiche e al connesso innalzamento del livello dei mari. Nonostante il contributo africano al cambiamento climatico globale sia assai limitato, gli effetti fisici di tale fenomeno sul continente rischiano di essere fra i più gravi, a causa delle sue scarse capacità di adattamento. Nel peggiore dei casi, le previsioni sull’aumento del livello dei mari collocano 70 milioni di Africani a rischio nelle zone costiere entro il 2080, un numero decisamente maggiore rispetto al milione di persone considerate a rischio nel 1990. Molti contadini dell’entroterra saranno tormentati da oscillazioni climatiche estreme e imprevedibili.
È sempre più evidente che in Africa il cambiamento climatico non sarà uno “tsunami silenzioso” dagli esiti affabili. Al contrario, l’Africa sarà il campo di battaglia della “terza guerra mondiale”, cioè di una schermaglia brutale e prolungata che esploderà in innumerevoli conflitti su scala ridotta. Benché spesso non vengano definiti propriamente “guerre”, questo genere di conflitti contribuirà alla mortalità e a forme di violenza che, indipendentemente dalle definizioni date, costituiscono e rappresentano atti di belligeranza. Questa nuova “guerra mondiale” è di fatto già in corso.
Secondo il Social Conflict in Africa Database (SCAD) della University of Texas-Austin, gravi mutamenti climatici stanno inasprendo problematiche che già affliggono l’Africa e stanno innescando ulteriore violenza nel continente. La Quarta relazione di valutazione del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (Intergovernmental Panel on Climate Change – IPCC), ad esempio, presenta dati relativi al fenomeno dello stress idrico in Africa: già oggi ne soffre il 25% della popolazione e mezzo miliardo di Africani sarà a rischio di grave stress idrico entro il 2050. I ricercatori dello SCAD hanno esaminato circa 6 mila casi di conflitto sociale su un periodo di 20 anni correlandoli alla crescente variabilità climatica, vale a dire deviazioni rispetto al regime abituale di precipitazioni. Tale variabilità, ovviamente aggravata dal cambiamento climatico globale, ha effetti significativi su violenza e conflitti politici di piccola e grande scala. Qualsiasi episodio violento – sia esso costituito da sommosse, violenza tra comunità, o conflitti tra fazioni – è infatti reso più aspro da precipitazioni abbondanti. In situazioni di grave deficit idrico o in presenza di scarsa vegetazione per mimetizzarsi, invece, gli attori violenti appaiono meno inclini a intraprendere le loro attività. Durante un prolungato periodo di grave siccità, le persone pensano più a garantirsi la sopravvivenza che a trasformare in modo violento l’ordine sociale. Troppa pioggia, d’altra parte, danneggia le infrastrutture e compromette le capacità statali di contenere la violenza. Più semplicemente, in Africa la pace dipende anche dal clima.
Dobbiamo mettere in prospettiva la nuova violenza legata ai fenomeni climatici (in Africa o altrove) per non lasciarsi cullare dalla convinzione che la belligeranza umana stia diventando ormai obsoleta. Il cambiamento climatico globale sta modificando i termini di riferimento dell’intero pianeta: la combinazione dei suoi effetti sugli ecosistemi terrestri e marini suggerisce che più persone avranno a disposizione meno terra da abitare e meno suolo fertile da coltivare. Come se non bastasse, il cambiamento climatico sta inducendo le élite di Europa, Stati Uniti e Cina ad acquistare terreni in Africa, accentuando ulteriormente il problema della scarsità di terre in tale continente. Inoltre, si può supporre che sempre più migranti verranno “immagazzinati” in Africa, dove la crescita demografica è già forte, acuendo ulteriormente la situazione di stress data da popolazione abbondante a fronte di risorse scarse. In poche parole, lo spazio vivibile in Africa si sta restringendo, e i rifugiati che dalle coste si spostano verso l’entroterra alla ricerca di maggiore sicurezza incontreranno barriere e ostacoli – come frontiere nazionali più rigide, terreni degradati, proprietà esclusive – e “terre di nessuno” date da conflitti e guerre interne.
Nonostante tutti i suoi problemi, l’Africa potrebbe insegnare ad altri come sopravvivere ai danni causati dal cambiamento climatico globale e dai conflitti. È alquanto improbabile, infatti, che questi si risolvano grazie a costose infrastrutture o altre opere geo-ingegneristiche. Piuttosto, alcuni aspetti non banali della cultura, delle regole e del sistema di valori africani sembrano poter ricoprire il ruolo di “angeli custodi” e guida, e le lunghe tradizioni di umanità e ospitalità dell’Africa possono essere fondamenta di società resilienti. Il “sottosviluppo” spesso imputato all’Africa potrebbe rivelarsi invece una benedizione. Rispetto ad altre regioni, infatti, l’Africa dipende in minor misura dal cosiddetto “capitalismo del carbonio”, affidandosi invece ad agricoltura a basso impatto ambientale e ad energia a basse emissioni di carbonio. Il continente africano sta facendo la sua parte per limitare il futuro aumento della temperatura del pianeta a un massimo di 2°C sopra il livello preindustriale.
Inoltre, in Africa, molte vittime hanno assunto un ruolo attivo nel tentativo di guarire dalle ferite della violenza, prendendo parte a commissioni di pace e riconciliazione, agendo nelle missioni di peacekeeping dell’Unione Africana, o generando e sostenendo reti di società civile in un contesto piagato da difficili condizioni sociali, repressione statale e avversità ambientali. Le sfide che deve affrontare l’Africa sono gravi e peggiorate dal cambiamento climatico globale, ma sono altrettanto concrete le capacità degli Africani di controbilanciare e contenere queste sfide. Non solo sopravvivendo, ma costruendo anche un “faro nella notte” che sia fonte di ispirazione per altri.
PER SAPERNE DI PIÙ:
World Ocean Review (2010) Living in coastal areas – The Battle for the Coast. Disponibile su: http://worldoceanreview.com/en/wor- 1/coasts/living-in-coastal-areas/
FAO (2008) Africa Could Reduce Greenhouse Gases. Disponibile su: http://www.fao.org/ news/story/en/item/8664/icode/
Tumult Indicators in Africa. Disponibile a breve su: http://exhibitions.nypl.org/ africanaage/essay-africa-2010.htm (sito in costruzione)
L’autore si è reso disponibile a condividere con i lettori una bibliografia relativa a cambiamento climatico e violenza in Africa. Se interessati, inviare una email a ccg2@ cornell.edu indicando “CC Bibliography Request” come oggetto.
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