Il fine e la fine delle rivoluzioni. Il caso dell’ecologismo
DOI:
https://doi.org/10.13135/2704-8195/3978Abstract
“La fine” non si riferisce a quanto avvenuto nei Paesi del cosiddetto “socialismo reale”. C’è un’altra ragione che chiarisce “la fine”: la rivoluzione propriamente detta, considerata come tale dai rivoluzionari, non è una qualsiasi delle rivoluzioni già avvenute, per esempio la rivoluzione francese (di cui si è parlato fino alla nausea), e neppure la rivoluzione russa o bolscevica; è sempre la rivoluzione che deve ancora avvenire. Quindi, non soltanto la rivoluzione non è mai finita, ma non è mai propriamente cominciata. Nessun rivoluzionario genuino riconoscerà che sia stata veramente tale la rivoluzione francese, o che sia stata autentica la rivoluzione russa o una qualsiasi che si voglia rintracciare nella storia. Questo significa, in termini tecnici, che la rivoluzione non è un fatto storico, bensì “escatologico”: si riferisce alla fine del tempo, alla fine della storia. Quando la rivoluzione fosse finita, sarebbe finito anche il tempo, di quella storia che cominciò con il peccato di Adamo. Anche “il fine” è parola, a mio parere, impropria. Quando si parla della rivoluzione ideale – che secondo me non può esserci veramente – si proietta nel futuro una speranza che non è un vero e proprio progetto. La rivoluzione non è un progetto degli uomini, bensì “il tutto che rovescia se stesso”. Se è il Tutto, non può trattarsi di un progetto tecnico, perché la tecnica adopera sempre una parte della realtà per agire su un’altra parte.
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