Esperienze che non sono la mia. Vissuto dell’io e memoria dell’altro in Helena Janeczek e Andrea Bajani
DOI:
https://doi.org/10.13135/2281-6658/162Abstract
L'intervento prende le mosse da una delle questioni centrali discusse da scrittori e critici a proposito del postmoderno italiano e del suo possibile superamento: la fine dell’esperienza, la vaporizzazione dell’evento, persino dell’evento traumatico, lo scollamento apparentemente irreversibile tra l’io e la realtà nel dilagare della cultura di massa e delle tecnologie del visuale. A partire dal saggio di Walter Benjamin sul Narratore, in cui l’esperienza è concepita non come evento individuale e autonomo bensì nel suo carattere relazionale e transitivo, e dalle considerazioni di Giorgio Agamben sul testimone come auctor, intendo indagare in che modo alcuni autori italiani delle ultime generazioni abbiano riformulato questo concetto in maniera problematica, affrontando, e dicendo, l’incapacità di dirsi dei padri e delle madri, testimoni- superstites dei traumi novecenteschi per eccellenza, la seconda guerra mondiale e la Shoah. Prenderò quindi in esame alcune opere di Eraldo Affinati (Campo del sangue, 1997), Helena Janeczek (Lezioni di tenebra, 1997; Le rondini di Montecassino, 2010) e Andrea Bajani (Ogni promessa, 2010), per rintracciare in esse un intento e una strategia narrativa comuni: superare il citazionismo “orizzontale” del postmoderno e ricongiungere esperienza e narrazione a partire non dal proprio vissuto ma dal difficile compito di ereditare la memoria dell’altro.
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