Anna Chiarloni
Bagliori notturni
La poesia di Eichendorff
«Es war eine tiefe, stille Winternacht des Jahres 1788...». Un incipit quasi fiabesco. Siamo in un castello sull’Oder, in Slesia, quando Joseph Karl Benedikt von Eichendorff viene alla luce, in una «fonda, limpida e silenziosa notte d’inverno dell’anno 1811». Così si legge in un frammento autobiografico1 che subito richiama un tratto caratteristico della sua poesia: il legame tra l’io e il creato, tra l’esistenza e arcani cieli notturni di nostalgia e rimpianto. Elementi di un contatto astrale che ritroviamo anche in Schöne Fremde (Bella terra straniera), il sesto testo messo in musica da Schumann nel Liederkreis op. 39: «Es funkeln auf mich alle Sterne / mit glühendem Liebesblick» («Scintillano sopra di me le stelle / con ardente sguardo d’amore»).2
Nostalgia e rimpianto, dicevo, in filigrana anche un senso di perdita. Cito ancora dal frammento: «La costellazione era favorevole, Giove e Venere lampeggiavano amichevoli sui tetti, la luna era nel segno della Vergine e la mezzanotte stava per scoccare».3 Ma in quella notte, per un comico contrattempo domestico, s’inserisce quello che Eichendorff percepisce come un segno del destino. Troppo presto, troppo violento scatta il tripudio di mortaretti, trombe e tamburi voluto dal signor padre per festeggiare il neonato: la puerpera sviene e, scrive Eichendorff, «quella costellazione favorevole tramonta – sono infatti nato un minuto e mezzo troppo tardi. Una misera frazione da nulla! Ma nessuno può recuperarla, la felicità ti corre dinanzi e tu non puoi che trottarle dietro».4
Il cielo stellato come immenso libro del destino? È un sentimento che spesso ritroviamo nell’opera di Eichendorff, ma nella sua astrologia c’è indubbiamente anche una considerazione storica. Il poeta nasce da una famiglia aristocratica in declino di fronte all’avanzare di una nuova economia fondiaria, quella di spericolati Junker prussiani, cui il padre, Adolf Freiherr von Eichendorff, tenta invano di adeguarsi. La tenuta slesiana di Lubowitz (oggi Łubowice, in Polonia) andrà presto in bancarotta e Joseph è avviato giovanissimo alla carriera, non prestigiosa per una casata di antico lignaggio, di funzionario statale.
Nulla resta di quell’infanzia felice nell’antico maniero tra il fiume e la foresta, sullo sfondo di vette azzurrine, di quella «favola meravigliosa» animata dalle «partite di caccia e dai balli d’inverno che i vicini organizzavano a turno nelle loro residenze sepolte sotto la neve».5
Facciamo un balzo in avanti – il poeta è un uomo maturo, siamo nel 1833 – leggendo il primo testo del Liederkeis, In der Fremde (In terra straniera):
Aus der Heimat hinter den Blitzen rot
Da kommen die Wolken her,
Aber Vater und Mutter sind lange tot,
Es kennt mich dort keiner mehr.
Wie bald, ach wie bald kommt die stille Zeit,
Da ruhe ich auch, und über mir
Rauscht die schöne Waldeinsamkeit,
Und keiner kennt
mich mehr hier.6
Qui si sente la mestizia dell’aristocratico sotto un altro cielo, sradicato dalla sua Heimat. Con la vendita del castello di famiglia s’interrompe la tradizione familiare, si perde un paesaggio. Eichendorff è obbligato ad andare in «terra straniera», guadagnandosi la vita come impiegato dell’apparato cattolico in una Berlino prussiana e protestante, una città in cui lui, esponente di una nobiltà di provincia, resta a lungo ai margini, ignoto ai più. Scomparsi i genitori, là in Slesia, sembra spegnersi una genealogia domestica.
Si noti la netta contrapposizione tra Heimat e paese straniero, tra la domesticità dell’appellativo – padre e madre – e il successivo spaesamento privo di relazioni umane. Con una proiezione nel futuro in cui si percepisce ai versi 5 e 6 l’eco del celebre Ein Gleiches (Un simile) di Goethe: «Die Vögelein schweigen im Walde / warte nur balde / ruhest du auch».7
Scrive Eichendorff: «Wie bald kommt die stille Zeit» – un verso che rivela nel presagio di morte un’attesa di pace. Come in Hölderlin, la natura mormora nel suo linguaggio arcano. Il poeta circoscrive la trama di questa Stimmung col termine epocale di Tieck, Waldeinsamkeit – la solitudine della foresta – in un mormorio che cede spazio alla morte: «Da ruhe ich auch, und über mir / rauscht die schöne Waldeinsamkeit» («Allora in pace sarò anch’io / e bella mormorerà su di me / la solitudine della foresta»).8 Si noti, comunque, l’anafora finale «Und keiner kennt mich mehr hier», «E nessuno qui più mi conosce»: uno sradicamento definitivo che separa l’io da una memoria sociale, come un corpo senza sepolcro.
La poesia risale al 1833, sono appunto gli anni berlinesi – per Eichendorff anni di «rigidi doveri», tra «fascicoli, scartoffie e mura oscure»,9 in cui si sente crescere addosso un Amtgesicht – un volto da funzionario – e più vivo riaffiora quel passato di saloni incantati in cui spirano dolci melodie. Ancora un’inconfondibile eco goethiana, quella del Mignons Lied, nell’incipit di An Philipp, un testo che rievoca struggente gli anni dell’adolescenza nel castello di Lubowitz:
[…]
Kennst Du noch den Zaubersaal,
Wo süß Melodien wehen,
Zwischen Sternen ohne Zahl
Frauen auf und nieder gehen?10
Torniamo agli anni giovanili, per chiederci: qual era stata la formazione di Eichendorff? Tipicamente romantica, potremmo dire, con l’usuale peregrinazione nella natura: la Wanderung ha luogo nello Harz, e il diario del poeta appena ventenne conserva squarci notturni di minaccia e seduzione:
Dai dintorni ci fissava una notte illimitata e spaventosa, nere nubi s’incrociavano in basso con furia selvaggia, da remote lontane voragini saliva gemendo una gelida tremenda tempesta. A tratti l’uragano lacerava il cupo manto di nuvole sopra di noi: ed ecco che risplendeva improvvisa la luna, con luminoso bagliore nel cielo, rischiarando per un secondo con fioca luce la spoglia solitudine.11
Sono i motivi caratteristici di Eichendorff studente a Halle: un Io in posizione centrale, un paesaggio renano che diventa esperienza interiore, immessa nello scenario romantico; il mulino, le rovine, cascate d’acqua e sentieri solitari... elementi che costituiranno la cornice del primo romanzo, Ahnung und Gegenwart (Presentimento e presente).
Una gioventù, tuttavia, segnata dalle campagne militari. Napoleone, vittorioso a Jena, nel 1806 chiude l’università di Halle. Eichendorff, in fuga con altri studenti, passa a Heidelberg e qui entra nella cerchia di coetanei romantici che celebrano la memoria di Novalis, scomparso nel 1801. Si tratta di una “Winkelkirche” – una sorta di ecclesiola raccolta attorno all’opera del poeta con una parola d’ordine: Novalisieren! Romanticismo come forma di vita, dunque.
Nascono i primi amori e le prime poesie – tra le altre: In einem kühlen Grunde (In una fresca gola), che sarà messa in musica da Friedrich Glück. Evidente è qui l’andamento del Volkslied, e percepibile l’influsso di Des Knaben Wunderhorn (Il corno magico del fanciullo, 1806), la raccolta di testi popolari curata da Achim von Arnim e Clemens Brentano. Cito i primi versi della ballata:
In einem kühlen Grunde,
Da geht ein Mühlenrad,
Mein Liebchen ist verschwunden,
Das dort gewohnet hat.12
Nella realtà la fanciulla di Eichendorff – il poeta rifiutò un matrimonio d’interesse consigliato dal padre in bancarotta – è Luise von Larisch che sposerà nel 1815. Ancora il diario ci narra di un viaggio lungo l’Oder – d’inverno, si noti, perché a tariffa ridotta – poi in carrozza fino a Berlino, dove alloggia presso un orologiaio: «Mi alzo alle 5 e scrivo fino alle 7 nella camera senza riscaldamento... Faccio la fame ma mi rallegro la sera a scrivere con l’ultima luce».13
Nella capitale incontra personaggi significativi della letteratura romantica: Arnim e Brentano, tra gli altri, e partecipa alle “serate estetiche” di quell’Adam Müller che conosciamo in quanto redattore con Kleist del «Phöbus».
Eichendorff passa poi a Vienna, dove studia legge ma frequenta assiduamente le lezioni di Storia letteraria di Friedrich Schlegel (Geschichte der alten und neuen Literatur). Siamo nel 1811, ed ecco nel diario uno spaccato della società intellettuale in cui è introdotto Eichendorff:
La prima lezione di Fr. Schlegel nella sala da ballo imperiale. Schlegel, tutto in nero fino alle scarpe, legge su una pedana dietro a un tavolino. Profumo di legna che arde nel camino. Grande pubblico. Davanti la cerchia delle dame, la principessa Liechtenstein con le sue principesse, Lichnovský ecc. 29 principi. Sotto gran scalpitare di carrozze. Come a un ballo. Molto chic.14
Rapidamente il poeta familiarizza con i salotti romantici, tanto che sarà Dorothea Schlegel, figlia del filosofo Moses Mendelssohn, a correggere e persino a suggerire il titolo del già citato romanzo d’esordio di Eichendorff Ahnung und Gegenwart (1813). Un dato, questo, che richiama l’integrazione in quegli anni di svariati intellettuali ebrei nella comunità berlinese.
Il romanzo rispecchia lo spirito del tempo. La guerra dilaga ovunque sullo sfondo di castelli incendiati, e determina il destino dei personaggi. Tuttavia la trama procede secondo gli stilemi romantici dell’anafora e della variazione, in un continuo sconfinamento che segna il distacco radicale da un progetto illuministicamente razionale. Nella narrazione ritroviamo impulsi, immagini e sequenze della poesia di Eichendorff: la partenza, l’inoltrarsi solitario nella foresta, il corno da caccia e il capriolo in pericolo, il dolore e la nostalgia di morte. Anche l’accendersi di passioni sfrenate in una ricerca di ebbrezza che, com’è stato notato, non ha ormai più nulla delle buone maniere della letteratura galante anacreontica.
Si tratta di una prosa animata da intermezzi poetici. Soffermiamoci su Zwielicht (Crepuscolo), il decimo del Liederkreis di Schumann:
Dämmrung will die Flügel spreiten,
Schaurig rühren sich die Bäume,
Wolken ziehn wie schwere Träume –
Was will dieses Graun bedeuten?
Hast ein Reh du lieb vor andern,
Laß es nicht alleine grasen,
Jäger ziehn im Wald und blasen,
Stimmen hin und wieder wandern.
Hast du einen Freund hienieden,
Trau ihm nicht zu dieser Stunde,
Freundlich wohl mit Aug und Munde,
Sinnt er Krieg im tückschen Frieden.
Was heut müde gehet unter,
Hebt sich morgen neugeboren.
Manches bleibt in Nacht verloren –
Hüte dich, bleib
wach und munter!15
Crepuscolo: l’ora del non più e non ancora, il tempo dell’irreale, dell’un-heimlich (inquietante, ma anche senza patria). L’incipit evoca un senso di minaccia – Schumann aprirà con un attacco a due voci del pianoforte, chiudendo muto di musica, quasi un’eco del recitativo bachiano: «Hüte dich, sei wach und munter!».
Il «Graun» si rispecchia nella natura della prima strofa: lugubri gli alberi, nubi come sogni grevi: che significa quest’orrore? Il capriolo («Reh», in alcuni Volkslieder allude all’oggetto d’amore) è in pericolo, intorno un soffiare del vento, un vociare di cacciatori. È l’ora dei tradimenti. La luce incerta, l’amico infido. Poi lo stacco dell’ultima strofa: il mattino rigenera le forze, ma qualcosa, la notte, è andato perduto («Manches bleibt in Nacht verloren»), o forse affiora ancora nel respiro del tempo diurno: «Hüte dich, bleib wach und munter!». Un’allusione alla tessitura del romanzo, Ahnung und Gegenwart, che ha al centro due figure di donna? Certo, la Gräfin Romana è un personaggio che incarna il tumulto erotico, sorta di Venere pagana pronta a perdersi nella natura, a «fuggir sulla corrente, beatamente cieca di luce»,16 rivendicando l’autonomia totale e sfrenata del soggetto. Utile appare in questo senso la felice definizione di Adorno: «Eichendorff è già un bateau ivre ma naviga ancora nel fiume tra le rive verdeggianti, e con tanto di bandierine dipinte».17
Nel 1813 il romanzo è concluso. Intanto sulla scena della Storia divampa la guerra di liberazione. Napoleone è sconfitto a Lipsia e il poeta conosce un momento di gloria militare – lo vediamo bivaccare accanto al generale von Blücher sul Pont Neuf di Parigi. Beninteso, come fante, perché non ha i denari per un cavallo, anche se è un aristocratico e figlio di un ufficiale, quindi frequenta anche August von Gneisenau e gli alti quadri dell’esercito che occupa la Francia. E proprio grazie al feldmaresciallo prussiano Eichendorff ottiene un incarico presso il Ministero della Guerra, peraltro con uno striminzito stipendio.
Accenno qui brevemente alla produzione letteraria. La prosa più nota di Eichendorff è indubbiamente Aus dem Leben eines Taugenichts (Dalla vita di un fannullone), iniziato nel 1817 ma pubblicato nel 1826. Ritroviamo qui il tema del viandante: un telos mobile, costituito dalle peregrinazioni di un protagonista col suo violino, implicitamente contrapposto sia al messaggio classicista di una Bildung che vuole l’inserimento dell’individuo in un mondo d’intatta armonia, sia all’ethos borghese che mira a imprigionare l’esistenza in una visione funzionalistica. «Il Taugenichts è l’incarnazione dell’inquieta anima tedesca», noterà Theodor Fontane, l’autore delle Wanderungen durch die Mark Brandenburg (Peregrinazioni attraverso la Marca del Brandeburgo, 1862), «è il tipo amabile non solo di una classe sociale bensì di tutta una nazione. Nessun altro popolo possiede un libro come questo».18
Del 1826 è Das Marmorbild (La statua di marmo), una fiaba intessuta nel linguaggio simbolico, allusivo d’immagini sia mitologiche sia cristiane, in cui l’esperienza del desiderio spinge all’indagine sull’intensità e i confini della sessualità, sull’amore e il matrimonio.
Anche l’ultimo romanzo Dichter und ihre Gesellen (I poeti e i loro compagni, 1834) alterna prosa e versi. Cito in chiusura di questa prima parte l’ultima strofa di Sehnsucht, un testo molto noto, spesso inserito nelle antologie scolastiche tedesche, che condensa diversi motivi della poesia di Eichendorff. Nell’incipit il poeta, solo alla finestra in una notte «dorata di stelle», sente il suono lontano del corno e il canto di due giovani viandanti.
Il paesaggio evocato richiama elementi di uno scenario italiano – ancora una volta l’eco di Goethe? Si pensi al Mignons Lied – e tuttavia nel testo risuona inequivocabile la cifra segreta e notturna della poesia di Eichendorff:
[...]
Sie sangen von Marmorbildern,
Von Gärten, die überm Gestein
In dämmernden Lauben verwildern,
Palästen im Mondenschein,
Wo die Mädchen am Fenster lauschen,
Wann der Lauten Klang erwacht
Und die Brunnen verschlafen rauschen
In der prächtigen Sommernacht.19
Immagini, queste, che sono diventate attraverso la letteratura parte di una memoria collettiva, icone, che ritroveremo nella poesia di Georg Trakl. Un’età dell’oro sospesa nell’acronia, misteriosa e abissale come una notte romantica, attraversata dal brivido di una fragilità tutta moderna.
Nella scelta dei versi da mettere in musica, sia Schumann che Mendelssohn attingono ai Lieder pubblicati da Eichendorff nel 1837. La raccolta è suddivisa per sezioni tematiche: Wanderliebe (Amore errante), Sängerleben (Vita del cantore), Zeitlieder (Canti nel tempo), Frühling und Liebe (Primavera e amore), Todtenopfer (Sacrificio funebre), Geistliche Gedichte (Canti spirituali), Romanzen. Nonostante la ripartizione, i testi sono coesi da una comune linea melodica, dall’estrema semplicità di linguaggio e da un intreccio di motivi ricorrenti.
Elementi specificamente poetologici si rintracciano nel finale di Wünschelrüte (La verga del rabdomante):
[…]
Schläft ein Lied in allen Dingen,
die da träumen fort und fort,
und die Welt hebt an zu singen,
triffst du nur das Zauberwort.20
Il «Zauberwort» poetico (la parola magica) svela la verità. La poesia è dunque un medium: la parola scopre la cosa, il nesso segreto sotto il clamore volatile del tempo quotidiano. Compito del poeta è lo svelamento, è lui l’interprete chiamato a leggere e a ricomporre davanti ai nostri occhi la scrittura divina.
Altrove il poeta precisa il suo pensiero. Il mondo è «un libro di geroglifici, i segni possono essere decifrati ma è arduo coglierne il significato ultimo». Solo «im Augenblick des Aufblitzens einer gleichsam noch in sich erzitternden Dingwelt» («nel lampeggiare del mondo ancora tremante in se stesso») è disponibile quella magia della parola, «quella potenza allegorica dell’immagine che presta al mondo reificato la forza del significato, quel quid che trascende la cosa in sé». Il segno è ambiguo, lo svelamento è momentaneo – un lampo occasionale. E tuttavia la poesia è «balenio sul mondo, sollecitazione e risveglio».21
C’è anche un tratto gioioso nel suo sguardo: il poeta è animato dalla letizia, si ha quasi pudore a traslare nella nostra disincantata contemporaneità questa dichiarazione di felice umiltà: «Demut und Freudigkeit» («Umiltà e allegrezza»). Eichendorff guarda stupefatto il cielo e la terra, il cuore gli balza in petto a quella vista meravigliosa e canta il mondo che gli appare pieno di senso muto, di un significato che «durch Wald und Herz erklingt» («affiora vibrando in cuore e nel bosco»), quando l’Aurora lo sfiora con quella luce lustrale che il poeta sente fertile e fraterna.22
L’ansia del dire in poesia si coniuga con la cornice della natura colta in momenti topici: l’aurora, il crepuscolo, la notte soprattutto, che è patria complice e sicura, e plasma la struttura stessa del testo. La figura ricorrente della soglia, l’inquietudine del tramonto, gli slittamenti semantici s’intersecano con il canto delle ore di un soggetto errabondo nella natura.
Due parole sulla ricezione. La musica con la sua tecnica dello sviluppo tematico e della ripresa appare perfettamente coerente con le variazioni analogiche di Eichendorff, così come le pause nel respiro metrico trovano una corrispondenza nei “silenzi” di Schumann.
I testi del poeta sono entrati a far parte sia della cultura domestica tedesca, attraverso le società corali (Gesangvereine), vero movimento di massa nella Germania dell’Ottocento, sia dell’ambiente colto dei concerti e dei Salon della grande borghesia. Al centro del repertorio musicale – oltre a Schumann, si pensi a Mendelssohn, Reger, Wolf, Pfitzner – di Eichendorff si contano tra il 1830 e il 1900 oltre cinquemila intonazioni.
Dal punto di vista critico la ripresa degli studi recenti si colloca negli anni Ottanta del Novecento. Quel «Rauschen», lo stormire della natura, viene letto come espressione di una nostalgia per qualcosa che sentiamo sì scomparso ma che ancora ci trasmette col suo linguaggio remoto il senso di voci sepolte. Tuttavia Eichendorff non è mai antiquariale, semmai rende più bruciante la nostra pena per quella perdita. E soprattutto è poesia, la sua, che ha consentito ai tedeschi di tornare alla tradizione poetica nazionale – indicativo è l’intervento citato di Adorno, risalente al 1958 – rimuovendo l’orrore di cui la cultura del dopoguerra era ancora impregnata.
Con il saggio In memoria di Eichendorff, Adorno restituiva, infatti, il poeta romantico alla letteratura europea, sottraendolo sia al conservatorismo culturale, che lo aveva usato incasellandolo come esponente di un dogmatismo religioso, sia a quel latente nazionalismo che esibiva l’aristocratico Eichendorff come vessillo – lui, proveniente dalle regioni orientali della Germania – di una rivendicazione territoriale nello spirito del Blut und Boden, ovvero di una «poetica della stirpe alla Nadler».23
Vediamo in chiusura due testi del Liederkreis di Schumann, Die Stille (La quiete) e Mondnacht (Notte di luna). Abbiamo detto che nello scorrere del tempo così come nella tessitura narrativa, la notte ha una funzione centrale. È il momento (novalisiano) di requie del quotidiano, accesso onirico al passato, proiezione su di un mondo lontano, non di rado una dimensione mitica che con andamento analogico accomuna al presente un tempo remoto. Solo nel Liederkreis su dodici testi troviamo otto situazioni di veglia notturna.
La poesia più nota è la quinta: Mondnacht. Nel ciclo di Schumann il testo è – sapientemente – preceduto da Die Stille:
Es weiß und räth es doch Keiner,
Wie mir so wohl ist, so wohl!
Ach, wüßt’ es nur Einer, nur Einer,
Kein Mensch es sonst wissen soll!
So still ist’s nicht draußen im Schnee,
So stumm und verschwiegen sind
Die Sterne nicht in der Höhe,
Als meine Gedanken sind.
Ich wünscht’, ich wäre ein Vöglein
Und zöge über das Meer,
Wohl über das Meer und weiter,
Bis daß ich
im Himmel wär’!24
La quiete è per l’io beatitudine che si dilata avanzando anaforica sull’allitterazione della ‘w’: «Es weiß und rät es doch keiner / wie mir so wohl ist, so wohl» – mutando poi nella seconda strofa, si badi al «nicht» riferito alla «Stille». Non così quieto è il paesaggio esterno, allusivo di una percezione di segnali arcani, quasi una formula magica, nel sussurrante moltiplicarsi dei suoni in ‘sch’, nella neve di una notte stellata: «So still ist’s nicht draußen im Schnee, / So stumm und verschwiegen sind / Die Sterne nicht in der Höhe».
Poesia che si chiude nella nostalgia di un volo: «Ich wünscht’, ich wäre ein Vöglein», allargandosi nell’anafora di un orizzonte marino – «über das Meer, / wohl über das Meer und weiter» – per approdare poi, come in Novalis, alle rive del cielo: un volo teso, che sembra procedere sicuro, vorrei dire affilato, da quelle quattro occorrenze in ‘i’ dell’ultimo verso in repentino guizzo di luce: «bis daß ich im Himmel wär’!». Volo che, tuttavia, il condizionale reinghiotte con la sua eco finale («wär»: come se io fossi) nel regno di una proiezione fantastica, incrinando di colpo la ferma certezza del volo.
Sono proprio questi scarti a determinare a mio parere la grandezza della poesia di Eichendorff: è la drammatica dissolvenza dell’impianto narrativo che ce la rende così vicina. Certo, vi è anche un elemento specificamente romantico, contiguo alla teoria schlegeliana della cosiddetta “progressive Universalpoesie” (“poesia universale progressiva”) che nel suo eterno divenire dissolve le forme chiuse dell’anima errante. Un tratto che si coglie anche nella celeberrima Mondnacht – «la perla tra le perle», ha scritto Thomas Mann25 – inserita come detto da Schumann nel Liederkreis in posizione immediatamente seguente – con un’avvertenza per l’esecuzione: «zart, heimlich» («tenero, segreto»), si legge sullo spartito. E, infatti, tenue e segreto è il respiro di questa notte di luna in cui, come nelle antiche cosmogonie il cielo scende a baciare la terra, costituendo una sorta di unità androgina – e di nuovo sentiamo l’eco di Novalis.
Si coglie con Mondnacht un alito di primavera nello schiudersi dei fiori, ma quasi un ardore già estivo nel mite ondeggiare delle spighe. Versi che risuonano come sotto l’arco di un violino, ha osservato Adorno:
Es war, als hätt' der Himmel
Die Erde still geküßt,
Dass sie im Blütenschimmer
Von ihm nun träumen müßt'.
Die Luft ging durch die Felder,
Die Ähren wogten sacht,
Es rauschten leis' die Wälder,
So sternklar war die Nacht.
Und meine Seele spannte
Weit ihre Flügel aus,
Flog durch die stillen Lande,
Als flöge sie
nach Haus.26
Interessante è la relazione tra il titolo e il testo. Mondnacht: la luna inonda il paesaggio di luce ma lo sguardo la percepisce indirettamente, nel riflesso luminoso dei fiori: «Blütenschimmer». Vediamo la struttura: tre strofe di quattro versi in rima alternata, ognuna un periodo compiuto nella dinamica interna dei tempi verbali: congiuntivo, indicativo, chiusa onirica in congiuntivo.
Soffermiamoci sulle immagini.
Versi 5-6: un moto dell’aria e subitanea una risposta: armonia della natura. Ultimo lieve ansito («sacht») prima della quiete notturna. Segue l’immagine domestica di campi e spighe.
Il verso 8 apre con l’avverbio «so» che introduce un leggero scarto, una sorta di pianissimo: «i boschi stormivano lievi, / tanto chiara di stelle era la notte». Si avverte un salto logico: la notte era così chiara, «So sternklar war die Nacht», che i boschi stormivano lievi?
Lo scarto sembra insidiare la catena razionale di causa effetto. Forse questa è una lettura dell’oggi, di uno sguardo ormai privo di quel senso di sacralità che certo Eichendorff provava di fronte a una natura «geküßt» (baciata dal cielo), e quindi pudicamente «leise», mossa appena dalla brezza e solo lievemente mormorante al cospetto di una notte «so sternklar», così limpida e stellata.
Il «so» inserisce una valutazione individuale che precede l’emersione dell’Io nella terza strofa: «e la mia anima distese / larghe le ali». Immerso nella natura, appena mossa dalla brezza, l’Io lirico sembra assistere attonito al moto della sua stessa «Seele», nel trasporto di qualcosa d’indicibile.
La congiunzione «Und» della terza strofa – si noti, dopo un punto – colloca l’anima nello spazio dell’universo, nell’ordine del creato. Di qui si stacca una voce di canto individuale creando un sistema d’interferenze tra la natura, l’io e l’anima.
Nell’accentuata musicalità del testo si riconosce la metrica del Volkslied: ma attenzione, questo vale solo per le prime due strofe, composte da giambi con tre accenti, in alternanza di fine verso femminile e maschile. Con il secondo verso della terza strofa la metrica varia e il verso si fa energico, ad ala tesa nell’enjembement (spannte / weit), accentuato all’inizio (weit ... flog) e sonoro di quattro accenti.
Vediamo ora le varie interpretazioni di questo testo celeberrimo. La prima è quella religiosa: l’anima torna in volo verso la sua origine divina. Ricordo che nella tradizione greca c’è una coincidenza semantica tra anima e volo, “psyche” significa infatti sia anima che farfalla. Anche nell’immagine del cielo che bacia la terra, si può avvertire un sostrato mitologico pagano: l’amplesso di Urano e Gea. Ma in Eichendorff è tutta spiritualità, non fertilità pagana. Se la natura in Goethe aveva una sua forza autonoma – si pensi ad Auf dem See (Sul lago) – qui appare ricondotta a un’armonia divina: la terra sogna il cielo nel riflesso dei fiori.
La poesia legge i geroglifici del libro divino, abbiamo detto. Ora, la spiga è antico simbolo di fertilità, morte e risurrezione – e dell’eucarestia. Secondo Kaiser27 in questo testo emerge una contiguità iconografica tra la religiosità del mondo pagano e quella del cristianesimo. La figura di Maria poggerebbe, infatti, sul sostrato del culto di Demetra, la dea della fertilità. In effetti, nelle immagini più antiche Maria compare rivestita di spighe. Indubbiamente, senza allontanarci troppo dal testo, una lettura religiosa consente di dire che in Eichendorff la brezza che qui muove la natura è alito religioso, pneuma divino. Non dimentichiamo che il poeta si forma in ambiente cattolico. E tra le sue carte è stato rintracciato un calendario del maggio 1809, con versi sull’amplesso tra il cielo e la terra nel mese del culto mariano, assai praticato in Slesia. In quest’orizzonte la poesia assume un significato teologico. Nell’amplesso divino si schiude la redenzione del creato. L’anima è colma di grazia divina, può risorgere e mettersi in cammino. Non a caso il testo è inserito nei Geistliche Lieder.
E tuttavia, pur senza far propria la lettura radicalmente “laica” di Adorno dell’opera di Eichendorff, mi pare che Mondnacht non possa essere interpretata come mero messaggio religioso. Perché quei modi verbali ci lasciano intendere che per il poeta il mitico calco divino non è più presente. È ormai solo un’icona nel deposito della memoria.
Col congiuntivo Eichendorff crea un equilibrio tra certo e incerto, tra forza della fede e il senso di scacco, perdita, dubbio. «Es war, als hätt’ der Himmel / Die Erde still geküßt»: «era come se il cielo avesse baciato la terra». E, più avanti, nel finale: era come se la mia anima volasse a casa (corsivo mio). Dell’antico motivo dell’ascensione al cielo è rimasto solo un moto di direzione orizzontale: «durch die stillen Lande». Dal cielo alla terra, sì, ma non dalla terra al cielo. Questa forma di ritorno non è data.
«Als flöge sie nach Haus», si legge nella chiusa. Casa significa luogo protetto, spazio del ritorno. «Wohin denn gehen wir?» chiedeva Novalis. E la risposta era: «Immer nach Hause».28 Casa è infanzia, origine, memoria. Anche spazio della trascendenza, luogo dell’anima. Estinta l’entropia degli dèi resta solo un revenant, una memoria latente.
Forse è proprio qui, nel disfarsi del tempo, che sta la modernità del testo. Quel moto di volo, prima in imperfetto poi in congiuntivo – «flog / als flöge» – segnala col suo soffio il dubbio di un’epoca, marca una soglia oltre la quale si fa più incerto il linguaggio della fede.
Utile in questo senso appare il concetto di “Sattelzeit” (“epoca di passaggio”) usato da Kosellek:29 un tempo di transito, quello di Eichendorff, da un’epoca all’altra. Alcune sicurezze vengono meno, segnali nuovi si annunciano. Non c’è ancora l’ironia di Heine, ma nemmeno più la certezza di un percorso verso un altrove di trascendenza.
Eppure quanta forza d’irradiazione poetica, e quanto ancora ci trasportano questi ultimi, musicali bagliori lunari su di una rifiorente natura primaverile.
Bibliografia scelta
Sämtliche Werke des Freiherrn Joseph von Eichendorff, Historisch-kritische Ausgabe, 12 Bände, a cura di Hermann Kunisch e Helmut Koopmann, Regensburg, Habbel Verlag, 1908-1970.
Frankfurter Anthologie, Gedichte und Interpretationen, a cura di Marcel Reich – Ranicki, saggi di A. Ayren, H. Bienek, H. Brode, G. Fussenegger, L. Harig, H. von Hentig, G. Kaiser, E. Klessmann, H. Kunisch, H. Mayer, E. Schwarz, G. Storz, Frankfurt am Main, Insel Verlag, 1976-1990.
Gerhard Friedrich, Romantik im Konjunktiv und als Zitat, in Intrecci di lingua e cultura, Studi in onore di Sandra Bosco Coletsos, a cura di Marcella Costa [et al.], Roma, Aracne editrice, 2012.
Hermann Korte, Joseph von Eichendorff, Hamburg, Rowohlt, 2000.
Per una più ampia bibliografia italiana rimando al compendio pubblicato in «Studi germanici», XLI, 1-3, nn.119-121 (2003).
1 Cit. in Hartwig Schultz, Eichendorff. Eine Biographie, Frankfurt am Main, Insel Verlag, 2007, p. 19.
2 Schöne Fremde. Es rauschen die
Wipfel und schauern, / Als machten zu dieser Stund / Um die
halbversunknen Mauern / Die alten Götter die Rund. // Hier hinter den
Myrtenbäumen / In heimlich dämmernder Pracht, / Was sprichst du wirr
wie in Träumen / Zu mir, phantastische Nacht? // Es funkeln auf mich
alle Sterne / Mit glühendem Liebesblick, / Es redet trunken die Ferne
/ Wie von künftigem, großem Glück!
Bella terra straniera. Stormiscono le cime rabbrividendo, /
come se in quest’ora / attorno alle mura in rovina / facessero la
ronda gli antichi dei. // Qui dietro il mirto / nel segreto splendore
del crepuscolo / cosa mormori tu, / confusa come un sogno / notte
fantastica? // Scintillano sopra di me le stelle / con ardente sguardo
d’amore, / ebbra parla la lontananza / come di un’immensa felicità
futura! Sämtliche Werke des Freiherrn Joseph von Eichendorff.
Historisch-kritische Ausgabe, 12 Bände, hrsg. von Hermann Kunisch und
Helmut Koopmann, Regensburg, Habbel Verlag, 1908-1970, Band 1, p. 69
(tutte le traduzioni, salvo diversa indicazione, sono mie).
3 H. Schultz, Eichendorff, cit.,
p. 19.
4 Ivi, p. 20.
5 Ibidem.
6
In terra straniera. Dalla
mia patria giungon le nubi / s’accendono rosse di lampi / ma padre e madre son morti da tempo / là più nessuno mi conosce. // Presto, ahi, presto giunge l’ora del silenzio / allora in pace sarò anch’io / e bella mormorerà la solitudine della foresta / su di me, e nessuno qui più mi conosce, J. von Eichendorff, Sämtliche Werke, cit., Band 1, p.
79.
Un
simile.
Su tutte le vette
/ regna la quiete
/ tra le cime
degli alberi / non
senti un alito; /
tacciono gli uccellini
nel bosco. // Aspetta! Presto
/ riposi anche tu. Johann Wolfgang von Goethe,
Gedichte und Epen, Hamburger
Ausgabe, München, DTV, 1981, Band 1, p. 142.
8 J.
von Eichendorff,
Sämtliche
Werke, cit.,
Band 1, p. 89.
9 J. von Eichendorff , Halle,
Harz
und
Heidelberg.
Autobiografisches,
hrsg. von Heidi Ritter
und Eva Scherf, Halle, Mitteldeutscher Verlag,
2008, p. 59.
10 Conosci
ancora la sala incantata, / dove aleggiano dolci melodie, / e donne vanno e vengono / tra stelle infinite? J. von
Eichendorff, Sämtliche Werke, cit., Band
1, p. 92.
11 J.
von Eichendorff, Halle,
Harz
und
Heidelberg, cit., p.
39.
12 In
una fresca gola, / là gira la ruota di un mulino, / scomparsa è la mia bella / che vi abitava. J. von Eichendorff, Sämtliche Werke, cit., Band
1, p. 29.
13
J. von
Eichendorff , Halle,
Harz
und
Heidelberg,
cit., p. 41.
14 Ivi, p.
42.
15 Il crepuscolo dispiega le ali, / in
un tremito si muovono gli alberi, / nubi corrono come sogni grevi /
perché questa angoscia? // Se un capriolo ti è più caro degli altri, /
non lasciarlo pascolare da solo, / i cacciatori nella foresta suonano
il corno, / voci vanno e vengono. // Se quaggiù hai un amico, / non
fidarti di lui in quest’ora, / amabile egli di sguardo e parola, /
medita guerra in pace infida. // Quel che oggi stanco declina, /
domani sorge rinato. / Qualcosa si perde nella notte / stai in
guardia, sii vigile e desto!
16 J. von Eichendorff, Ahnung
und
Gegenwart, in Sämtliche Werke, cit., Band 3, p. 99.
17 Theodor W. Adorno, Zum
Gedächtnis
Eichendorffs, in
Noten zur Literatur II.,
Frankfurt am Main, Suhrkamp,
1961, p. 83.
18 Theodor Fontane, Wanderungen durch die Mark Brandenburg, München, DTV,
1979, p. 199.
19 Cantavano di statue di marmo, / di giardini, in abbandono oltre le rocce / tra pergole all’imbrunire, / e palazzi nel chiaro di luna, / con fanciulle in ascolto alla finestra, / quando si risveglia il suono dei liuti / e le fontane
mormorano sopite / nella splendida notte estiva. J.
von
Eichendorff,
Dichter
und ihre Gesellen, in
Sämtliche Werke, Band
4, p. 109.
20 Dorme
un lied in tutte le cose, / che continuano a sognare, / e il mondo si leva a cantare, / se solo indovini la magica parola. J. von Eichendorff,
Sämtliche
Werke, cit.,
Band 2, p. 39.
21 J. von Eichendorff, Geschichte der poetischen Literatur Deutschlands, in Werke
in
sechs
Bänden,
Band 6, Geschichte der Poesie. Schriften zur Literaturgeschichte, hrsg.
von Hartwig Schultz,
Frankfurt am Main, Deutscher Klassiker Verlag, 1990, p. 821.
22 J. von Eichendorff, Durch Feld und Buchenhallen, in Sämtliche Werke, cit.,
Band 1, p. 95.
23 Adorno fa riferimento a Josef Nadler
(1864-1963), autore di una Storia letteraria
delle stirpi e del
paesaggio tedesco, non scevra da tratti
antisemiti, che ebbe grande diffusione negli anni hitleriani.
24 La quiete. Nessuno sa o indovina, / quanto son felice, così felice! / Ah, se solo uno, solo uno lo sapesse / nessun altro deve saperlo // Non così quieto è fuori nella neve, / né mute e silenziose / son le stelle nell’alta volta, / quanto i miei pensieri. // Un uccellino vorrei essere / in volo sopra il mare e oltre, / fino a raggiungere il cielo! J. von Eichendorff, Sämtliche Werke, cit., Band 1, p. 59.
25 Cit.
in Horst Nalewski, Schumann und Leipzig, «Litterata», 2 (2011),
p. 19.
26 Notte di luna.
Era come se il cielo avesse / baciato silenzioso la terra, / e questa
in uno scintillio di fiori / dovesse ora sognarlo. // La brezza
spirava sui campi, / miti ondeggiavano le spighe, / i boschi
stormivano lievi, / tanto chiara di stelle era la notte. // E la mia
anima distese / larghe le ali, / volando per silenti terre, / come se
volasse verso casa. J. vonEichendorff, Sämtliche Werke,
cit., Band 1, p. 60.
27 Gerhard Kaiser, Mutter Natur als
Himmelsbraut. Joseph
von Eichendorff: “Mondnacht”, in
Augenblicke deutscher Lyrik.
Gedichte von
Martin Luther
bis Paul
Celan, Frankfurt am Main, Insel, 1987, pp.
178-192.
28 Georg Philipp Friedrich von Hardenberg (Novalis), Heinrich von Ofterdingen (1802), in
Werke, hrsg. von
Bruno Wille, Leipzig, Diederichs,
1901, Band 2, p.
49.
29 Reinhart Koselleck, Über
die
Theoriebedürftigkeit der Geschichtswissenschaft, in Theorie der Geschichtswissenschaft und Praxis des Geschichtsunterrichts, hrsg. von Werner Conze,
Stuttgart, Klett,
1972, p. 14.