Maria Teresa Arfini
I Gesänge
der Frühe e le Geistervariationen
Aspetti
crepuscolari del'ultimo Schumann
Nel Dichtergarten für Musik, compendio di citazioni letterarie cui Schumann lavorò dall’ottobre 1852 al febbraio 1854, leggiamo, tra i tanti, un passo tratto dal tardo scritto frammentario di Jean Paul Friedrich Richter Selina oder über die Unsterblichkeit der Seele (Selina o sull’immortalità dell’anima):
Perché ci si dimentica del fatto che la musica raddoppia le sensazioni gioiose e tristi, anzi addirittura le genera essa stessa, del fatto che l’anima si perde negli stimoli del suo edificio sonoro come in un tempio, del fatto che essa con intensità e potenza maggiori di quelle di qualsiasi altra arte ci sballotta nel giro di pochi istanti, e senza alcun passaggio graduale tra gioia e dolore – dico, perché mai si dimentica che essa possiede una peculiarità ancor più grande? La forza con cui suscita in noi la nostalgia di casa [Heimweh], non la nostalgia di un paese antico e abbandonato ma di uno in cui non siamo ancora, non di un passato ma di un futuro.1
Il concetto di Heimweh – nostalgia di casa –, che in questo passo di Jean Paul è alquanto affine a quello di Sehnsucht, è molto importante nel romanticismo tedesco, e potrebbe essere utile per un percorso di avvicinamento agli ultimi lavori schumanniani. Alla luce delle suggestioni letterarie gravitanti intorno a tale concetto, in questo scritto si daranno alcuni cenni interpretativi su due cicli di pezzi per pianoforte appartenenti alle ultime composizioni prima dell’internamento nel manicomio di Endenich, presso Bonn: i Gesänge der Frühe (Canti dell’alba) op. 133 e il Tema con variazioni in mi bemolle maggiore WoO 24, meglio conosciuto come Geistervariationen (Variazioni degli spiriti).
Il 15 ottobre 1853 Schumann annota nel diario: «Diotima». Lo stesso il 16 ottobre. Il 17 ottobre scrive: «Fleißig» («Diligente»). Infine il 18 ottobre: «Die “Gesänge der Frühe” beendigt» («Conclusi i Gesänge der Frühe»).2
Il 23 febbraio 1854, una settimana dopo la notte in cui gli spiriti gli avrebbero dettato il tema in mi bemolle maggiore delle Geistervariationen e quattro giorni prima di tentare il suicidio gettandosi nelle acque del Reno, il 27 febbraio, Schumann scrive quanto segue all’editore Friedrich Arnold di Elberfeld:
Non desidero far pubblicare le Fughette [op. 126] a causa del loro carattere sostanzialmente malinconico e Le propongo in cambio un’altra opera, terminata da poco, che s’intitola “Gesänge der Frühe”, si tratta di cinque pezzi caratteristici per pianoforte, dedicati alla poetessa Bettina [von Arnim]. Sono composizioni che descrivono le sensazioni provate all’approssimarsi dell’alba, ma più come espressione di sentimenti che pittura.3
L’allusione alla Sesta Sinfonia di Beethoven è palese: «Mehr Gefühlausdruck als Malerei». La Pastorale di Beethoven evoca inequivocabilmente la Natura e il sentimento dell’uomo al suo cospetto. Invece la dedica a Bettina Brentano von Arnim potrebbe aprire una più ampia rete di riferimenti a Beethoven e a Goethe.4
L’autografo recava invece la dedica «An Diotima» e a tutt’oggi non si conoscono le ragioni della soppressione di questa dedica originale a favore di quella alla poetessa amica di Beethoven. Di fatto Bettina fece visita agli Schumann dieci giorni dopo la composizione dei brani, il 28 e 29 ottobre 1853, e ritornerà a visitare Robert a Endenich anche nel maggio 1855.
La più importante allusione parrebbe essere a Hölderlin e alla sua Diotima, anche se il riferimento potrebbe essere direttamente alla Diotima del Simposio platonico, dal quale Schumann aveva estratto diversi frammenti da includere nel Dichtergarten. Hölderlin era ben noto a Schumann sin dall’adolescenza: se ne hanno cenni nelle Erinnerungen an Robert Schumann di Emil Flechsig, e nei Materialien zu einem Lebenslauf dello stesso Schumann, ove Hölderlin è citato accanto a Klopstock e Schiller come poeta assiduamente letto nel 1827.5 Nell’edizione, l’ultima che Schumann ebbe la forza di seguire, appare invece la dedica appena citata – «der hohen Dichterin Bettina gewidmet» («dedicato alla grande poetessa Bettina») –, senza che vi siano apparentemente spiegazioni per l’abbandono della dedica originaria.
Già dalla dedica, quindi, i Gesänge der Frühe appaiono densi di enigmi. Anche Clara ne aveva scritto nel suo diario, in data 18 ottobre 1853: «R. ha composto 5 Frühegesänge – di nuovo brani completamente originali, ma difficili da comprendere, vi è una Stimmung del tutto particolare».6
La letteratura musicologica7 ha cercato in vari luoghi hölderliniani questa Stimmung, nelle liriche a Diotima e nel romanzo epistolare Hyperion, ove, forse, si trova uno dei passi più evocatori:
A ogni passo, sentivo sorgere in me qualcosa di strano. Avrei voluto volare, tanto il mio cuore mi spingeva avanti; ma avevo l’impressione di portare piombo sotto le suole. L’anima si era affrettata avanti ed aveva abbandonato le membra terrene. Non udivo più, e, davanti ai miei occhi, tutte le forme ondeggiavano ed abbrunivano. Lo spirito era già presso Diotima; la cima della pianta giocava già con la luce del mattino, mentre i rami più bassi erano ancora immersi nell’ombra del freddo crepuscolo. “Ah! mio Iperione”, mi raggiunse una voce. Mi precipitai in quella direzione. “Mia Diotima, o mia Diotima”, non trovai altre parole, non ebbi più fiato, né coscienza di me. […] Qui, nella mia esistenza, è una lacuna. Morii e, come mi destai, giacevo nelle braccia della divina fanciulla.8
Si tratta del punto culminante della lunga lettera in cui il greco Iperione rievoca per l’amico tedesco Bellarmino il momento in cui lui e Diotima si scoprirono reciprocamente innamorati. L’uomo è metaforicamente albero: la sua cima è già bagnata dalla luce del mattino, i rami bassi e il tronco sono ancora nella penombra, nella luce ambigua del crepuscolo. La dissociazione dell’albero in parte illuminato e in parte in penombra è il culmine del processo di dissociazione del protagonista.
Diotima ha uno specifico riferimento nella biografia di Hölderlin: è il nome col quale il poeta cantò la sua amata, Susette Gontard, moglie di un ricco banchiere di Francoforte nella cui casa Hölderlin svolgeva funzioni di precettore. Due anni dopo l’abbandono dell’incarico da parte del poeta e il suo allontanamento da Francoforte, Susette morì, così come la Diotima dello Hyperion.9 Dedicataria di numerose poesie, in queste e nell’Hyperion – romanzo non privo di cospicui riferimenti autobiografici – Diotima rappresenta la divina armonia o meglio, con un termine di Heidegger,10 la «numinosità» della Natura. Essa è perduta per i moderni, siano essi greci, come Iperione, o tedeschi, come Bellarmino, entrambi schiavi: gli uni assoggettati al dominio turco, gli altri alla cecità dell’anima. Nel romanzo Diotima muore e Iperione lascia la patria, per dedicarsi, in terra tedesca, a tener vivo il culto dell’armonia mediante la propria opera di poeta. La conclusione del romanzo è tuttavia confortante: il poeta, deluso dalla terra tedesca, ritrova Diotima con l’immedesimazione, armonica e musicale, dell’anima nell’eterna giovinezza della Natura. Nelle lettera conclusiva di Iperione a Bellarmino, infatti, leggiamo:
Così mi abbandonai sempre maggiormente e senza misura alla radiosa natura. Così volentieri sarei ritornato fanciullo per esserle più vicino, come volentieri avrei voluto sapere di meno e diventare un puro raggio di luce per esserle più vicino […].
Un giorno sedevo lontano da casa, in un campo, accanto a una fonte, all’ombra di rupi verdi di edera, sotto pendenti cespugli fioriti. […] Spiravano dolci aure e la terra splendeva ancora nella luminosa freschezza del mattino […]. “Diotima”, esclamai, “dove sei, dove sei tu”? E mi pareva di udire la voce di Diotima, quella voce che, un tempo, nei giorni della gioia, mi aveva rasserenato.
“Presso i miei”, esclamò, “sono io presso i tuoi che lo smarrito spirito umano misconosce”.
[…] “Anche noi, anche noi, o Diotima, non siamo separati e le lacrime versate per te non lo comprendono. Siamo viventi note, noi, in accordo con la tua armonia, o natura!”.11
La Natura – con le valenze simboliche appena descritte – è senz’altro evocata nei Gesänge der Frühe: non solo per il riferimento beethoveniano già considerato ma per una serie di allusioni musicali. L’albero – l’elemento naturale nel quale più sovente s’identifica Iperione – e la foresta potrebbero essere suggeriti dal terzo Gesang, tutto incentrato sulla sonorità dei corni, i Waldhörner del paesaggio sonoro della foresta romantica. Il richiamo dei corni è ben evidente all’inizio del brano e persiste nella parte della mano sinistra.12 Inoltre, la sonorità è spesso apertamente dissonante, offuscata: qui l’incerto contorno del timbro ricco di armonici del corno potrebbe essere reso dalle sovrapposizioni di dissonanze irrisolte. Culmine di ciò sono le bb. 38-42 ove pare essere di fronte addirittura a una dissociazione politonale.13
Un altro strumento che rimanda a una simile sfera simbolica, l’arpa,14 è evocato nel successivo Gesang, il quarto, in fa diesis minore. La zona centrale nell’orditura pianistica, incorniciata da due linee melodiche, è un arpeggio discendente pressoché costante per l’intero brano.15
Un accompagnamento
pianistico «wie Harfenton» («come
suono di arpa»), sorprendentemente
simile al quarto Gesang, si
trova nel Requiem (Altkatholisches
Gedicht) op. 90 n. 7. Il testo
di questo Lied era stato
erroneamente attribuito a Eloisa, la
sfortunata amante di Abelardo, ma
probabilmente si tratta di una
rievocazione ottocentesca in stile
medievale.16
Nondimeno, colpisce l’affinità delle
tematiche, che potrebbe aver indotto
Schumann all’impiego della stessa
simbologia.17
Inoltre,
John Daverio ha identificato
proprio nell’arpa e nel corno –
utilizzati direttamente ovvero
evocati – gli elementi più
caratterizzanti di quella che ha
etichettato come l’«Idea di
Requiem» in Schumann e Brahms.18
Un’idea incentrata sulla
redenzione e la consolazione che è
presente soprattutto negli ultimi
lavori corali di Schumann, tra cui
il Requiem für Mignon op.
98b, ove l’arpa ha modo di
dispiegare compiutamente il suo
idioma. Altro brano, poco noto, in
cui i due strumenti associati
evocano la distanza e il legame
tra i mondi, le voci che arrivano
da lontano, «aus der Ferne», è la
ballata per soli, coro e orchestra
Vom Pagen und der Königstochter
op. 140. Non a caso, di nuovo, si
tratta della triste vicenda di due
amanti separati dalla morte: nelle
quattro ballate di Emmanuel Geibel
che compongono il testo è narrata
la vicenda del paggio messo a
morte per aver sedotto la figlia
del re, gettato in mare e
miracolosamente trasformato in
arpa dalle divinità marine.
Quest’arpa sarà udita dalla
principessa in procinto di
sposarsi, e il paggio le potrà
parlare nella forma di un assolo
di corno, lasciandola tuttavia
morta ai piedi dell’altare. La
foresta romantica è anche
strettamente legata all’immagine
della cattedrale, soprattutto
gotica: le linee architettoniche
si confondono con l’intreccio dei
rami, questi ultimi ne divengono
la continuazione, come pure
possono essere la continuazione
delle corde dell’arpa. La tematica
è assai frequente nella pittura
tedesca di inizio Ottocento: se ne
trovano esempi in Caspar David
Friedrich, Karl Friedrich
Schinkel, Carl Gustav Carus.19
La cattedrale potrebbe essere evocata dal primo Gesang: alle bb. 6-8 – e a ogni ripetizione del passaggio – l’armonia è alterata da una sorta di effetto di eco, come il suono dell’organo nelle navate di un’ampia chiesa. Tra le parti inferiori e la melodia v’è uno sfasamento di un tactus, che produce intense dissonanze, riconducibili a normali concatenazioni armoniche se si anticipasse di una semiminima l’intero accompagnamento.
Questo procedimento non è nuovo in Schumann, si rintraccia in molti passi sparsi qua e là nell’arco della sua intera parabola creativa. La musica gioca e riflette sulla sua essenza, il tempo: essa si sdoppia e si ricongiunge con un evidente processo di dissociazione, come era avvenuto a Iperione prossimo a Diotima. Quasi ad apertura di pagina, nelle composizioni schumanniane troviamo linee melodiche che si sdoppiano rifrangendosi: quanto appariva identico non lo è più, udiamo le stesse note un po’ in anticipo o in ritardo rispetto al loro doppio. Ed è ben noto quanto abbia pesato il tema del doppio nella poetica schumanniana: ora, alle soglie della follia, Schumann aveva anche sentito il bisogno di rileggere, insieme alla moglie, le matrici letterarie di questa poetica, i romanzi di Jean Paul.20
Il primo brano evoca un’atmosfera chiesastica pure per altri aspetti, oltre alla dissociazione in eco: il percorso armonico assume talvolta un colore modale, come a b. 13 ove ci si sarebbe aspettati un’armonia di dominante.
Inoltre un carattere innodico permea l’intero brano, che pare addirittura strutturato come una serie di variazioni su melodia di corale, con tanto di fugato in stretto nelle ultime battute.
Schumann fu in dubbio se espungere o meno questo primo brano dalla raccolta. Preparando la bella copia per la stampa ne aveva prescritto l’eliminazione, difatti vi leggiamo «Diese erste Nummer bleibt aus» («Questo primo numero resta fuori»), ma poi cambiò ancora una volta idea e la raccolta fu pubblicata completa.21
Raccolta o ciclo? Daverio ipotizza come motivazione per l’espunzione del primo numero la sua troppo stretta parentela col secondo: questo appare a tutti gli effetti come una variazione.22 La melodia di corale dell’esordio del primo Gesang vi è trattata come cantus firmus, compare sin da b. 2 come parte interna, ma variamente permutata, indi assume un profilo nettamente riconoscibile al basso da b. 7 (cfr. es. 6).
Il legame dei successivi numeri col primo è meno evidente, ma tuttavia non così flebile come afferma Daverio.23 Il terzo brano presenta un elemento che appare già all’inizio del secondo (b. 3, parte interna), come moto contrario, variato nel ritmo, dell’elemento b) della melodia di corale (cfr. es. 6). Il quarto recupera questa melodia e la espone per moto contrario (bb. 1-2), variando però considerevolmente l’ultimo intervallo – una settima al posto di una quinta.24
Nell’ultimo brano appare di nuovo l’elemento b), cardine del secondo e del terzo Gesang, del quale è mantenuto anche il profilo ritmico, pur se in aumentazione. L’elemento b) vi compare già a b. 2, per moto contrario alla mano destra e per moto retto alla mano sinistra.
Ritengo dunque possibile considerare i Gesänge der Frühe un ciclo, probabilmente di variazioni, che liberamente reinterpretano l’antica tecnica di variazione su cantus firmus, usata ad esempio da Bach nelle sue Partite diverse sopra alcuni corali (BWV 766-771).
Quanto ho appena definito un cantus firmus, vale a dire l’insieme dei motivi a) e b) e delle loro elaborazioni, potrebbe esser ancor meglio definito come motto, almeno nella sua prima parte. A ben osservare le prime quattro note dell’esordio del primo Gesang, etichettate negli esempi musicali come a) e moto contrario di a), sovviene infatti un’altra peculiarità schumanniana: l’uso dei soggetti cavati. Schumann aveva trovato spunto per questa pratica, che parrebbe quindi accompagnarlo per tutta la vita, nella lettura dell’amato romanzo Flegeljahre di Jean Paul. Qui, nel capitolo ventesimo, il protagonista, Walt Harnisch, si cimenta con esiti disastrosi nell’attività di accordatore di pianoforti, compiuta per legato testamentario. Walt rompe tre corde dello strumento: curiosamente si tratta delle corde corrispondenti alle sole tre lettere musicali del suo nome, che sono anche tre delle quattro lettere musicali del nome di Bach.25 Jean Paul per «lettere musicali» intendeva quelle lettere dell’alfabeto che in tedesco indicano i nomi delle note: se ne possono rintracciare con buona probabilità nel nome di ciascuno, e così arrivare ad alludere, con un semplice gioco enigmistico, a una persona all’interno di un brano musicale. È a tutti noto il motivo ASCH, motto ricorrente del Carnaval op. 9, oppure il tema delle Variazioni ABEGG op. 1, oppure ancora l’omaggio a BACH nelle fughe per organo op. 60 od all’amico Niels GADE nel quarantunesimo pezzo dell’Album per la gioventù, op. 68 (Nordisches Lied). Inoltre, le lettere musicali ASCH sono proprio le lettere musicali presenti nel cognome del compositore: SCHumAnn.26 Un po’ meno nota è l’ipotesi che Schumann abbia crittografato il nome ClArA, fornendone poi svariate versioni musicali a partire dal motivo do la la.27 E che anche Mendelssohn abbia giocato a crittografare il nome di una fanciulla di cui si era innamorato, ponendone il “soggetto cavato” come esordio del primo tema del Quartetto in mi bemolle maggiore op. 12, anch’egli suggestionato dalla lettura dei Flegeljahre.28
Veniamo ora al caso specifico dei Gesänge der Frühe. I nomi in tedesco delle prime quattro note del primo Gesang sono queste lettere: D-A – re-la, quello che ho chiamato frammento a) – e H-E – si-mi, moto contrario di a). I nomi dei protagonisti dell’Hyperion di Hölderlin sono appunto: DiotimA e HypErion. Re la si mi corrispondono alle uniche lettere musicali contenute nei loro nomi. Non credo che questa sia una casualità, anche se, è vero, il tema del primo Gesang è il palese adattamento del soggetto della Fughetta op. 126 n. 4. Schumann aveva proposto a Friedrich Arnold i Gesänge der Frühe al posto delle Fughette,29 come s’è visto. Non stupisce che il materiale tematico delle une potesse essere stato reimpiegato negli altri: il ritmo del soggetto della quarta fughetta è lievemente modificato, v’è un cambio di modo dal minore al maggiore, ma l’unica nota effettivamente diversa è la quarta, ora mi al posto di do.30 Con questa variante le prime quattro note possono davvero fungere da motto “cavato” – come i tanti altri ben noti nella produzione schumanniana – ed essere appropriatamente elaborate nel corso del ciclo.
Se
dunque i Gesänge
der Frühe
possono essere
considerati un
ciclo di
variazioni,
essi si
pongono ancor
meglio in
relazione con
il successivo
ciclo di
variazioni –
dal titolo
questa volta
esplicito –
composto da
Schumann: le
cinque
variazioni su
un tema in mi
bemolle
maggiore,
dette
“variazioni
degli
spiriti”, cui
ho già fatto
cenno.
L’esordio del
tema è
costruito su
di un
frammento
molto simile a
quello che
abbiamo appena
visto essere
protagonista
del secondo,
terzo e quinto
Gesang
– tre note in
scala dal
profilo
ritmico
puntato, b)
negli esempi
musicali,
derivato dalle
tre note che
seguono il
motto
nell’esempio
precedente.
La combinazione poliritmica cui esso è sottoposto nella prima variazione è assai affine a quanto avviene nel secondo “canto”, quello effettivamente considerabile come variazione. Nel caso della prima variazione il frammento è discendente – b) originale –, nel secondo Gesang è ascendente – b) per moto contrario.
Le altre variazioni si configurano anch’esse come variazioni su cantus firmus, con la melodia tematica – qui di nuovo in stile di corale – in canone a due parti (variazione II), al basso (variazione III), oppure celata nelle parti interne (variazione IV). Nella quinta e ultima variazione la melodia tematica è nascosta all’interno delle figurazioni di semicrome mediante costanti appoggiature cromatiche, riprendendo la tecnica variativa del corale figurato descritta sopra per il quinto Gesang.
Nella notte fra il 17 e il 18 febbraio 1854 Schumann annotò il tema del ciclo: secondo la testimonianza di Clara egli sostenne che gli fosse stato cantato dagli angeli.31 Ruppert Becker invece riferisce che a dettarglielo fosse stato lo spirito di Schubert.32 Secondo Wilhelm von Wasielewski, primo biografo di Schumann, gli spiriti sarebbero invece stati due: quello di Schubert e quello di Mendelssohn.33
In realtà l’esordio del tema “degli spiriti” è pressoché identico alla melodia del violino solista nel secondo movimento del Concerto per violino in re minore WoO 23 (bb. 5-7), anche questo finito di comporre da poco, nei mesi di settembre e ottobre del 1853.
Assomiglia pure, ma più alla lontana, alla melodia di corale della sezione centrale (da b. 19) di Vogel als Prophet, settimo brano delle Waldszenen op. 82; alla parte del violoncello (da b. 16) nel secondo movimento del Quartetto per archi in fa maggiore op. 41 n. 2 e alla melodia del Lied Frühlings Ankunft, n. 19 del Liederalbum für die Jugend op. 79.
Schumann completò le variazioni – che dedicò a Clara – nelle successive giornate, lavorandovi il 22 e 23 febbraio, sempre come riferisce Clara, e iniziò a correggerle il 27 febbraio, giorno in cui tentò il suicidio gettandosi nelle gelide acque del Reno.34 Ripescato fortunosamente e ricondotto a casa, concluse il lavoro il giorno successivo e lo inviò alla moglie, che si era rifugiata presso un’amica, temendo per la propria incolumità durante le crisi del marito.35
Queste poche note analitiche non possono certo dimostrare compiutamente l’esistenza di un legame tra i due cicli. Ma, alla luce del frammento da Selina ricopiato da Schumann nel Dichtergarten e soprattutto alla luce dello Hyperion, alcune delle suggestioni circa queste composizioni estreme potrebbero acquisire un po’ di coerenza. La Diotima di Hölderlin è morta ma, parafrasando le ultime righe dello Hyperion, continua a essere una «nota vivente» in accordo con la divina armonia. La concezione jeanpauliana della musica – suscitatrice di nostalgia – come ponte tra i mondi, così cara a Schumann, non è che un aspetto particolare di quest’ultima.
Schumann stesso si cimentò sul tema con la novella giovanile Die Harmonika – Altarblatt36 da cui è tratto il seguente passo:
Allora fu come se l’intero mondo dei suoni si risvegliasse ancora una volta – con forza e magnificenza risuonò un inno eterno dei Serafini, le arpe dell’eternità compresero in sé questi suoni e le anime vi si riconobbero, le mani si giunsero in preghiera e gli occhi si volsero verso i suoni invisibili nell’alto della chiesa – allora anche tu piangesti, Gustav – ed egli uscì dalla chiesa e, di fuori, giunse le mani ed esclamò: “oh celesti suoni provenienti dalle tombe di un’addormentata felicità, dite e ditemi perché anch’io piango quando vi ascolto” – e i suoni risposero: “noi siamo le premonizioni di un mondo per cui ti struggi, e che mai troverai qui – noi veniamo dall’aldilà”; egli allora gridò addolorato: “oh suoni, esiste l’immortalità?” – Essi tacquero.37
1 Robert Schumann, Dichtergarten für Musik: eine Anthologie für Freunde der Literatur und Musik, hrsg. von Gerd Nauhaus und Ingrid Bodsch. Übertragung und Kommentar von Leander Hotaki, Frankfurt a. M., Stroemfeld – Bonn, StadtMuseum, 2007. Cit. in Gerd Nauhaus, Gli ultimi lavori letterari di Schumann, «Il Saggiatore Musicale», XV, 1 (2008), pp. 67-80: 74-75; traduzione di Maurizio Giani. Riporto anche l’originale jeanpauliano: «Warum vergißt man darüber, daß die Musik freudige und traurige Empfindungen verdoppelt ja sogar selber erzeugt – daß die Seele sich in die Reize ihrer Tongebäude wie in Tempel verliert – daß sie allmächtiger und gewaltsamer als jede Kunst uns zwischen Freude und Schmerz ohne Übergänge in Augenblicken hin und her stürzt – ich sage, warum vergißt man eine höhere Eigenthümlichkeit von ihr? Ihre Kraft des Heimwehs, nicht ein Heimweh nach einem alten verlassenen Lande, sondern nach einem unbetretenen, nicht nach einer Vergangenheit, sondern nach einer Zukunft». Jean Paul Friedrich Richter, Selina oder über die Unsterblichkeit der Seele, Stuttgart – Tübingen, Cotta, 1827, p. 34.
2 Robert Schumann, Tagebücher, Band III. Haushaltbücher, 1 (1837-1847), hrsg. von Gerd Nauhaus, Leipzig, 1982, p. 639. In realtà Schumann pensava a queste composizioni da almeno quattro anni, giacché le aveva registrate nel Projektenbuch nel 1849, e nei diari del 1851. «Notizen aus der Düsseldorfer Zeit», cit. in Michael Struck, Die umstrittenen späten Instrumentalwerke Schumanns, Hamburg, Wagner, 1984, p. 465.
3 «Ich möchte die Fughetten wegen ihres meist melancholischen Charakters nicht erscheinen lassen und biete Ihnen ein anderes, vor kurzem beendigtes Werk, „Gesänge der Frühe“, 5 charakteristische Stücke für Pianoforte, der Dichterin Bettina gewidmet, an. Es sind Musikstücke, die die Empfindungen beim Herannahen des Morgens schildern, aber mehr aus Gefühlausdruck als Malerei». Cit. in Wolfgang Boetticher, “Gesänge der Frühe”. Schumanns letztes Klavierwerk, «Neue Zeitschrift für Musik», CXVII, 7-8 (1956), pp. 418-421: 418. Ove non altrimenti indicato, le traduzioni sono mie.
4 Come testimonianza del legame col poeta di Weimar Bettina scrisse nel 1835 il Goethes Briefwechsel mit einem Kinde.
5 Michael Struck, Die umstrittenen späten Instrumentalwerke Schumanns, cit., p. 466.
6 «R. hat 5 Frühegesänge komponiert – ganz originelle Stücke wieder, aber schwer aufzufassen, es ist so eine ganz eigene Stimmung darin». Clara Schumann, Ein Künstlerleben nach Tagebüchern und Briefen, hrsg. von Berthold Litzmann, Leipzig, Breitkopf & Härtel, 19257, vol. II, p. 283.
7 L’esegesi dei Gesänge der Frühe ha impegnato schiere di studiosi, sia per la loro valutazione tra le ultime composizioni schumanniane, forse già minate dalla malattia mentale, sia per i riferimenti letterari implicati dalla dedica originale. Per una disamina della questione e relativi cenni bibliografici rimando a John Daverio, Madness or Prophecy? Schumann’s Gesänge der Frühe, op. 133, in David Witter, ed., Nineteenth-Century Music. Essays in Performance and Analysis, New York-London, Garland, 1997, pp. 187-204: 188-190. Un contributo italiano recente sulla questione è invece: Le ultime opere di Robert Schumann: analisi dei Gesänge der Frühe per pianoforte op. 133 (1853), a cura di Antonio Rostagno, «Rivista di Analisi e Teoria Musicale», XVI, 2 (2010). Qui gli studiosi, accanto alle proposte analitiche sulla struttura complessiva della raccolta, si cimentano nell’interpretazione del titolo (Rossana Dalmonte, Ipotesi sulla melodia di «Gesänge der Frühe», in Le ultime opere di Robert Schumann, cit., pp. 59-73) o delle implicazioni extramusicali suggerita da un’ampia rete di allusioni (Guido Salvetti, Il significato nei Lieder senza parole: il caso dei «Gesänge der Frühe» op. 133 di Schumann, in Le ultime opere di Robert Schumann, cit., pp. 76-84).
8 «Mit jedem Schritte wurd es wunderbarer in mir. Ich hätte fliegen mögen, so trieb mein Herz mich vorwärts; aber es war, als hätt ich Blei an den Sohlen. Die Seele war vorausgeeilt, und hatte die irdischen Glieder verlassen. Ich hörte nicht mehr und vor dem Auge dämmerten und schwankten alle Gestalten. Der Geist war schon bei Diotima; im Morgenlichte spielte der Gipfel des Baums, indes die untern Zweige noch die kalte Dämmerung fühlten. „Ach! mein Hyperion!“ rief jetzt mir eine Stimme entgegen; ich stürzt hinzu; „meine Diotima! o meine Diotima!“ weiter hatt ich kein Wort und keinen Athem, kein Bewußtsein. […] Es ist hier eine Lücke in meinem Dasein. Ich starb, und wie ich erwachte, lag ich am Herzen des himmlischen Mädchens». Friedrich Hölderlin, Hyperion, Hamburg, Tredition, 2011, pp. 83-84 (trad. it. Iperione, Milano, Feltrinelli, 19932, p. 92).
9 Cfr. Ladislao Mittner, Storia della letteratura tedesca, Torino, Einaudi, 1971, II. Dal pietismo al romanticismo (1700-1820), Tomo III, pp. 714-716. Della vastissima letteratura sullo Hyperion segnalo, in italiano: Marco Castellari, Friedrich Hölderlin: Hyperion nello specchio della critica, Milano, CUEM, 2002; Ernesto Forcellino, Hölderlin e la filosofia. L'uno in se stesso diviso, Napoli, Guida, 2006; Maurizio Gracceva, La morte di Diotima. Il mito dell'unica nell'Iperione di Hölderlin, Milano, Mimesis Edizioni, 2008.
10 Martin Heidegger, Erläuterungen zu Hölderlins Dichtung, Frankfurt am Main, V. Klostermann, 19966, p. 176.
11 «So gab ich mehr und mehr der seligen Natur mich hin und fast zu endlos. Wär ich so gerne doch zum Kinde geworden, um ihr näher zu sein, hätt ich so gern doch weniger gewußt und wäre geworden, wie der reine Lichtstrahl, um ihr näher zu sein! […]
Einst saß ich fern im Feld, an einem Brunnen, im Schatten efeugrüner Felsen und überhängender Blütenbüsche. […] Süße Lüfte wehten und in morgendlicher Frische glänzte noch das Land […]. Diotima, rief ich, wo bist du, o wo bist du? Und mir war, als hört ich Diotimas Stimme, die Stimme, die mich einst erheitert in den Tagen der Freude.
Bei den Meinen, rief sie, bin ich, bei den Deinen, die der irre Menschengeist mißkennt!
[…] Auch wir, auch wir sind nicht geschieden, Diotima, und die Tränen um dich verstehen es nicht. Lebendige Töne sind wir, stimmen zusammen in deinem Wohllaut, Natur!». F. Hölderlin, Hyperion, cit., pp. 180-181 (trad. it. Iperione, cit., 19932, pp. 177-178).
12 Per rafforzare tale evidenza si confronti questo esordio con lo Jagdlied, n. 8 delle Waldszenen op. 82.
13 Si confronti col passaggio politonale dei corni fuori scena nel Tristano all’inizio del II atto, scena I.
14 Per la simbologia dell’arpa nel romanticismo – in specie per quel che concerne l’evocazione del «numinoso» nella Natura – rimando a: Peter Tenhaef, Die Harfe und die absolute Musik, «Die Musikforschung», XLVI, 4 (1993), pp. 391-411.
15 Fanno eccezione, pur sempre in arpeggi, la b. 23 e le battute di coda, da b. 43.
16 Schumann trovò il testo nell’antologia di Lebrecht Dreves (Gedichte, Berlin, Duncker, 1849), a sua volta tratto dal Thesaurus hymnologicus sive hymnorum canticorum sequentiarum di Adalbert Daniel (Leipzig, 1841-1856). Dreves è abbastanza convincente nell’argomentare che non si tratta di un originale medievale. Cfr. Daniel Beller-McKenna, Distance and Disembodiment: Harps, Horns, and the Requiem Idea in Schumann and Brahms, «The Journal of Musicology», XXII, 1 (2005), pp. 47-89: 56.
17 Nella terza strofa di questa preghiera funebre per la morte dell’amato sono tuttavia citate le arpe angeliche, suggestione esplicita all’impiego di un accompagnamento «come arpa».
18J ohn Daverio, Crossing Paths: Schubert, Schumann and Brahms, New York, Oxford University Press, 2002, p. 185.
19 Bastino, per far cenno a quest’universo simbolico, due disegni di Caspar David Friedrich, l’Allegoria della musica profana (Allegorie der weltlichen Musik, 1830, disegno a gesso nero su carta rosa) e l’Allegoria della musica religiosa (Allegorie der religiösen Musik “Harfenspielerin”, 1830, Disegno a gesso nero). Entrambi i disegni sono imperniati sulla simbologia dell’arpa, della foresta e della cattedrale. Nella lettera al committente Vassili Joukovski, consigliere alla corte della granduchessa Alexandra Feodorovna, del 9 febbraio 1830, così Friedrich descrive il primo disegno: «contro la finestra gotica è appoggiata un’arpa; ai suoi lati due fanciulle cantano e suonano il mandolino e la chitarra, come se aspettassero la suonatrice d’arpa. La veduta attraverso la finestra è limitata da un’altura boscosa, sopra cui brilla la luna piena». E così il secondo: «l’amica invano attesa è seduta a un balcone che dà su di una piazza ove risuona l’organo della chiesa illuminata lì vicina»; ovviamente l’arpista è raffigurata nell’atto di suonare. Cit. in Julie Ramos, A propos de l’acquisition récente de l’Allégorie de la musique profane: un cycle de transparents avec accompagnement musical de Caspar David Friedrich, «Revue du Louvre», V, 4 (2000), pp. 62-69: 62.
20 In data 9 settembre e 5 ottobre 1853 sono registrate letture da Siebenkäs e Titan. R. Schumann, Tagebücher, Band III., cit., p. 635 e p. 638.
21 La prima pagina della Stichvorlage è riprodotta in: Schumanns rheinische Jahre, hrsg. von Paul Kast, Düsseldorf, Droste, 1981, p. 132.
22 J. Daverio, Madness or Prophecy? Schumann’s Gesänge der Frühe, op. 133, cit., pp. 187-204: 195.
23 Daverio contesta le analisi di Arnfried Edler, Michael Struck, Irmgard Knechtges e Gerhard Dietel, che invece scorgono un legame tematico in tutti i cinque pezzi. Ibidem. Cfr. Arnfried Edler, Robert Schumann und seine Zeit, Laaber, Laaber-Verlag, 1982, p. 193 (trad. it. Schumann e il suo tempo, Torino, EDT, 1991, p. 158); M. Struck, Die umstrittenen späten Instrumentalwerke Schumanns, cit., pp. 477-479; Irmgard Knechtges, R. Schumann im Spiegel seiner späten Klavierwerke, Regensburg, G. Bosse, 1985, pp. 153-163; Gerhard Dietel, “Eine neue poetische Zeit”. Musikanschauung und stilistische Tendenzen im Klavierwerk R. Schumanns, Kassel, Bärenreiter, 1989, pp. 437-445.
24 Le altre lievi variazioni intervallari nel corso dell’elaborazione dei due elementi della melodia sono invece semplicemente dovute al cambio di modo o di funzione tonale dei frammenti.
25 «Plötzlich sprangen die drei Saiten a, c, h, nach Hasslauer offiziellen Berichten, welche gleichwohl nicht festsetzten, in welchen gestrichnen Oktaven. “Ja lauter Lettern aus Ihrem Namen, H. Harnisch, sagte Passvogel. Sie wissen doch die musikalische Anekdote von Bach. Es fehlt ihnen nur mein p!”» («Improvvisamente, come precisano i verbali ufficiali di Hasslau, che tuttavia non indicano le ottave esatte, si spezzarono le tre corde di la, do e si. “Si tratta proprio di lettere del Suo nome, signor Harnisch, disse Passvogel. Conoscerà certo l’aneddoto musicale di Bach. Ora Le manca soltanto la mia p!”»). Jean Paul Friedrich Richter, Flegeljahre: eine Biographie, Berlin, Reimer, 1849, vol. I, p. 187.
26 La S, a rigore, non indica una nota. Tuttavia Schumann l’ha interpretata nel Carnaval sia come la bemolle (As, nel nome ASCH), sia come mi bemolle (Es, nella scansione lettera per lettera del gruppo consonantico SCH).
27 L’argomento è stato più volte ripreso da Eric Sams in numerosi saggi a partire dagli anni Sessanta del Novecento. Ora molti di questi sono disponibili in italiano in: Eric Sams, Il tema di Clara. I codici cifrati, i Lieder, la malattia ed altri saggi su Schumann, a c. di Eric Battaglia, Asti, Analogon, 20102.
28S i bemolle-mi bemolle, cioè B-Es, sono le note musicali del nome BEtty PiStor. L’op. 12 è del 1829 e sicuramente lo spunto del gioco enigmistico è dovuto ai Flegeljahre, che anche Mendelssohn aveva avidamente letto, e non tanto a un qualsivoglia influsso di Schumann, che conoscerà soltanto molti anni dopo. Cfr. Maria Teresa Arfini, Mendelssohn tra Beethoven e Schumann: i quartetti per archi op. 13 e op. 12, Atti del Convegno Il giovane Mendelssohn, Conservatorio di Perugia, 4-5 dicembre 2009 (in corso di pubblicazione).
29 I Sieben Clavierstücke in Fughettenform furono tuttavia pubblicati anch’essi da Friedrich Arnold di Elberfeld, nel 1854, prima dunque dei Gesänge der Frühe, pubblicati soltanto nel 1855.
30 Si noti però che la linea melodica del quarto Gesang è il moto contrario del soggetto di fuga.
31 Clara così riferisce nel suo diario: «Freitag, den 17. [Februar], nachts, […] stand Robert wieder auf und schrieb ein Thema auf, welches, wie er sagte, ihm die Engel vorsangen; nachdem er es beendet, legte er sich nieder und phantasierte nun die ganze Nacht» («venerdì 17 [febbraio], notte, [...] nuovamente Robert si alzò da letto e scrisse un tema che, come affermava, gli avrebbero cantato gli angeli; non appena finito, s’interruppe e si mise a improvvisare per tutta la notte»). Clara Schumann, Ein Künstlerleben, cit., p. 297.
32 Diario di Becker del 24 febbraio 1854: «Die Gestalt Schuberts sei ihm erschienen, habe ihm eine herrliche Melodie geschickt, die er auch aufgeschrieben, und über die er Variationen componiert habe» («Gli sarebbe apparso lo spirito di Schubert, e gli avrebbe donato una stupenda melodia, che lui avrebbe annotato, componendovi sopra delle variazioni»). Cit. in Robert Schumanns Briefe. Neue Folge, hrsg. von Gustav Jansen, Leipzig, Breitkopf & Härtel, 19042, p. 534.
33 Wilhelm Joseph von Wasielewski, Robert Schumann. Eine Biographie, Leipzig, Breitkopf & Härtel, 19064, p. 49. Non si conosce però la fonte diretta di questa testimonianza, quella oggi più citata.
34 Cfr. Clara Schumann, Ein Künstlerleben, cit., p. 298 segg.
35 Questo autografo, di difficile lettura, è stato riprodotto in: Walter Beck, Robert Schumann und seine Geistervariationen. Ein Lebensbericht mit Notenbild und neuen Dokumenten, Tutzing, Schneider, 1992. In generale, sulla genesi e la stesura delle variazioni si veda: Wolf-Diether Seiffert, Robert Schumanns Thema mit Variationen Es-Dur, genannt «Geistervariationen», in Compositionswissenschaft. Festschrift Reinhold und Roswitha Schlötterer, hrsg. von Bernd Edelmann und Sabine Kurth, Augsburg, Wißner, 1999, pp. 189-214.
36 Hottentottiana (secondo quaderno, inizio novembre 1828). Robert Schumann, Tagebücher. Band I. 1827-1838, hrsg. von Georg Eismann, Leipzig, Deutscher Verlag für Musik VEB, 1971, pp. 136-138.
37 «Da war es, als wachte die ganze Welt der Töne noch einmal auf – mächtig u. stark, eine ewige Hymne der Seraphe rief, wie die Harfen der Ewigkeit, grüßend die Töne zusammen u. die Seelen kannten sich u. die Hände falteten sich zum Gebet u. die Augen wanden sich in die Emporkirche der unsichtbaren Töne – o da weintest auch du weiter, Gustav – u. er gingst [sic] zur Kirche hinaus u. draußen faltete [er] die Hände u. rief: O ihr himmlischen Klänge aus den Gräbern einer entschlafenen Seligkeit, sagt u. sagt mir, warum wein’ ich, wenn ich euch höre – da antworteten die Töne: wir sind Vorboten einer Welt, der du entgegenweinst, die du hier nimmer findest – wir kommen von Jenseits; da rief er schmerzlich aus: o ihr Töne, gibt es denn eine Unsterblichkeit? – – – Sie verstummten –». Ivi, pp. 137-138.