Giangiorgio Satragni
Schumann lettore
e interprete del Faust
Le Scene dal Faust di Goethe di Schumann (Scenen aus Goethe’s Faust, secondo la grafia del manoscritto e delle partiture d’epoca2) rappresentano un caso singolare di recezione in musica della lungatragedia scritta dal poeta. Furono composte nell’arco di nove anni, dal 1844 al 1853, secondo un procedere certo non rettilineo e conmodifiche in itinere dell’impianto generale; eppure la traiettoria è ben individuabile:dalla fine al principio, dalla scena ultima, con l’ascesa dell’elemento immortale di Faust nella seconda parte dellatragedia, alla seduzione di Margherita da parte di Faust nel giardino della prima parte, snodo fondamentale all’inizio delle avventuredel sapiente che tende all’oltre ed è ringiovanito dal patto con Mefistofele. La morte di Faust venne inserita fra i due pannelli soloin uno stadio tardo del lavoro, come un cuscinetto divenuto necessario per comprendere la scena ultima, che rappresenta la magna pars delle Faust-Szenen,3 il punto culminante perché fu in realtà il punto d’origine, daprincipio nato quale composizione a sé stante, con il titolo di Faust’s Verklärung (Trasfigurazione di Faust). In questo fatto risiede la particolarità della recezioneschumanniana di Goethe, nell’appuntare la propria attenzione sulla seconda parte del Faust, a solo un decennio dalla morte dell’autore e dal completamento delsecondo e classico Faust, mentre i musicisti romantici più o meno della generazione diSchumann trasponevano in suoni il primo Faust, quello più noto e con elementi ancora romantici, culminante nellamorte di Margherita e nella salvezza della sua anima sottratta a Mefistofele.
Anche Franz Liszt, col quale Schumann aveva scambiato lettere in vista di un’esecuzione a Weimar e che espresse un giudizio positivo sulla composizione tratta da Goethe,4 dedicò i tre pannelli della sua Faust-Symphonie (1854) ai tre personaggi principali della tragedia, aggiungendo solo nella seconda versione (1857) di questo incrocio tra sinfonia e poema sinfonico5 il Coro mistico che chiude l’intero Faust di Goethe. Mise com'è naturale in coda a tutto – il che vuol dire alla fine del terzo episodio dedicato a Mefistofele – i versi in cui l’eterno femminino ci trae verso l’alto, composti su una melodia tratta dal precedente episodio di Gretchen. Ma nell’ambito generale di un lavoro che trasse ispirazione dalla Damnation de Faust di Berlioz e dalla conoscenza della Faust-Ouvertüre di Wagner,6 fu appunto un’aggiunta, non il risultato di uno sviluppo organico che puntava a quel momento conclusivo.
Schumann fu invece attratto in primis dalla scena conclusiva, in circostanze che lo obbligarono alla lettura. Durante una tournée pianistica in Russia della moglie Clara, Robert, che l’accompagnava, cadde malato, per i primi sintomi gravi della sifilide nervosa che l’avrebbe portato alla follia.7 Dovette così stare molti giorni riguardato a Dorpat, in Livonia, oggi l’estone Tartu. Lì nel febbraio 1844 ricevette visite, musiche e libri per trascorrere il tempo, e fra di essi vi era tutto il Faust di Goethe nell’edizione integrale uscita presso Cotta nel 1843.8 Rileggeva anche Gli anni di apprendistato di Wilhelm Meister, meditando di trarne un’opera,9 un’idea poi abbandonata, e restando affascinato dalla musica che vi scorre. Si propose di comporre i diversi canti inclusi nel romanzo e il Requiem per Mignon, un progetto più breve ma che s’intreccia alla lunga gestazione delle Faust-Szenen, venendo realizzato nel 1849. Nel diario Clara annotò al 25 febbraio 1844: «Gli ha fatto visita lo Chevalier Buroschi, inoltre ha letto molte composizioni di Latrobe, il Faust di Goethe, ecc.».10 Questa è la data d’inizio delle Faust-Szenen, la lettura o rilettura in quell’occasione la scintilla per comporre, sebbene l'indisposizione non rendesse agevole la lettura. Com’è tipico nel processo creativo di Schumann, non vi fu una chiara idea compositiva, bensì una fiammata dell’ispirazione che portò il musicista a elaborare già durante la malattia a Dorpat il progetto per tutta la scena ultima del Faust II, trascrivendo il testo il 1° marzo,11 tornandovi sopra nell’estate tra Lipsia e Dresda con gli schizzi e stendendo la partitura fino a dicembre. Il Coro mistico, tuttavia, non fu completato che tre anni dopo, nel 1847, anno in cui Schumann continuava a rileggere pure il Wilhelm Meister.12 L’idea di trarre anche dal Faust un’opera, balenata nel quaderno dei progetti intorno al 1840,13 era divenuta in Schumann qualcosa di ben diverso, mentre una prova di teatro in musica si stava concretizzando parallelamente in Genoveva, i cui schizzi s’intrecciano a quelli per le Faust-Szenen.14
All’inizio del 1845 Schumann pensava di trarre da Goethe un oratorio, come racconta alla fine di una lettera, assai citata, al musicologo Eduard Krüger:
Il Faust mi tiene ancora molto occupato. Cosa pensa dell’idea di trattare l’intero soggetto come oratorio? Non è ardita e bella? Al momento ci posso soltanto pensare.15
Ciò che nacque è tuttavia solo dal punto di vista formale un oratorio, certo profano: in questo risiede l’altra particolarità del lavoro, essere un insieme di pannelli che non sono una narrazione in forma di concerto né una rappresentazione, benché questa sia stata realizzata anche in tempi recenti.16 È stato osservato che Schumann abbia dato alla composizione il titolo di Scene dal Faust sulla scorta di una celebre analisi d’epoca redatta da Ferdinand Deyck, la cui interpretazione indicava la seconda parte del Faust goethiano come «Szenen aus dem großen Leben».17 Non è tuttavia da escludere il fatto che nell’Ottocento non era usuale rappresentare la tragedia faustiana nella sua interezza, come accaduto di rado anche in seguito, ma singoli episodi o gruppi di scene. Peraltro Schumann aveva ascoltato le Compositionen zu Göthes’ Faust [sic] del principe Anton Radziwiłł, basate sul Faust I, nate a stretto contatto con Goethe che le apprezzò molto, ascoltate da Schumann tanto come musiche di scena per la tragedia, quanto come singoli pannelli in concerto:18 dunque, singole scene dal Faust. Si chiamano quindi Scene perché tali sono i momenti della tragedia di Goethe, ma in Schumann sono piuttosto un’evocazione della poesia attraverso il suono, in questo apparentandosi alla Damnation de Faust di Berlioz, che era anche evocazione o visione della scena, ma non rappresentazione. In questo caso, pure, l’allestimento teatrale costituisce un tradimento alle intenzioni dell’autore.19 Però Berlioz scelse il Faust I, per motivi cronologici nonché linguistici, essendo questo il nucleo che generò otto scene nel 1829 sulla base della versione francese di Gérard de Nerval: vi rimase fedele anche quando nel 1845 le otto scene originali furono ampliate nella Damnation.
Nell’estrapolazione per moto retrogrado di scene dal Faust, Schumann arrivò a dare più peso alla seconda parte che non alla prima: da questa, nel luglio del 1849, mise in musica tre scene, quella citata del giardino, quella di Margherita al bastione di fronte all’immagine della Mater dolorosa e la scena nel Duomo. Nell’agosto dello stesso anno e tra l’aprile e il maggio del 1850 prese dal secondo Faust la prima scena, con l’alba e il risveglio di Faust, la visita delle Donne grigie a Faust al termine della sua parabola esistenziale, l’accecamento e la morte di Faust.20 Numericamente le due sezioni sarebbero equivalenti, ma la seconda rappresenta la fine terrena di Faust, che, saldata alla cosiddetta Trasfigurazione della scena ultima goethiana costituente la terza parte, sposta appunto con forza il baricentro verso il Faust II. Anche l’ouverture, benché terminata come ultimo tassello nel 1853, era concepita in una versione primigenia in rapporto diretto con la Trasfigurazione.21 Questo titolo fu proposto da Schumann a Liszt che stava approntando un concerto a Weimar nell’agosto 1849:
Faccia in ogni caso stampare il testo. Se, come intitolazione generale del pezzo, trova adatta la dicitura Trasfigurazione di Faust, allora la indichi così nel programma.22
Che cosa cercava dunque Schumann con tanta insistenza nel finale del Faust, che era la testimonianza estrema di Goethe e la summa del suo lascito? Dalla natura della musica e dai documenti biografici si ricava l’impressione che fosse rimasto soggiogato dal processo di purificazione ed elevazione che in esso si compie, uno svincolarsi dalle cose terrene attraverso un modello poetico altamente simbolico e di classica perfezione, il quale spostava a un livello più alto il processo di purificazione musicale avviato con Das Paradies und die Peri (1843). Qui la Peri della narrazione mitica può ritornare al Paradiso da cui era caduta grazie al superamento di tre prove affrontate a contatto con il mondo degli uomini, con le sue fatiche e il suo svolgersi quotidiano, mentre l’intera narrazione di Faust è un superamento di prove nel tendere continuo verso una meta, che infine si risolve in un distacco dalle cose terrene dopo il compimento dell’esistenza. Lo stesso Schumann individuava un parallelo, come pure le differenze, in una celebre lettera del 26 giugno 1848 all’editore Friedrich Whistling:
Il soggetto [del Faust] e quindi anche la musica ricorda la Peri in virtù del fatto che entrambi, dopo aver a lungo errato e anelato, ottengono il Paradiso. Nel carattere musicale il Faust si differenzia dalla Peri – almeno così vorrei – come l’Occidente e l’Oriente.23
Il compositore, dunque, sanciva le differenze pur evidenziando le similitudini, ben conscio che il racconto epico Lalla Rookh dell’irlandese Thomas Moore non poteva esser paragonato al Faust. Goethe era la vetta e la sua altezza incuteva timore. Questo emerge dalle fonti sinora note, nello stato in cui si trovano i documenti epistolari pubblicati, oggetto di una nuova edizione critica iniziata con l’anno schumanniano 2010 e in corso fino al 2017.24 Potranno dunque emergere nuovi particolari in futuro, ma il sentimento misto di ammirazione e timore nei confronti del vertice poetico goethiano emerge con evidenza non solo dal confronto epistolare con Whistling, ma anche con Felix Mendelssohn e, ancora, con Liszt. È stato ipotizzato che la genesi delle Faust-Szenen sia legata all’ascolto nel 1843 della Prima notte di Valpurga composta da Mendelssohn (su versi però non del Faust, ma della ballata goethiana) e a colloqui immediatamente successivi fra i due musicisti, che avrebbero destato in Schumann l’interesse per il Faust.25 I diari però indicano in quella lettura a Dorpat lo scoccare della scintilla, ma è indubbio che Mendelssohn fosse già a conoscenza del progetto nel settembre 1845, tanto da chiedere lumi in proposito a Schumann il 21, immaginandone un’esecuzione al Gewandhaus di Lipsia:
È finito il pezzo tratto dal Faust di Goethe di cui ho sentito parlare, e lo eseguirebbe o no nel concerto cui Lei fa riferimento? E se fosse il secondo caso, vorrebbe destinarlo all’esecuzione in uno dei concerti di quest’anno (con un coro di amatori)?26
La risposta, tre giorni dopo, spiegava tutta l’ammirazione di Schumann per Goethe e il timore di non poter andare oltre la musica per la Trasfigurazione iniziata a comporre nel 1844, ma soprattutto il timore di accostarsi al vertice poetico e concettuale della chiusa del Faust:
La scena dal Faust riposa ancora nello scrittoio, ho davvero il timore di guardarla di nuovo. Il rapimento della poesia sublime proprio di quel finale mi fece osare il lavoro; non so se lo pubblicherò mai. Dovesse tornarmi il coraggio e lo completassi, rammenterò certo la Sua amichevole sollecitazione; per questo La ringrazio.27
Il primo ascolto in ambito privato della Verklärung, al Coselpalais di Dresda il 25 giugno 1848, era testimonianza che Schumann aveva trovato coraggio per rimettere mano al progetto, interrogandosi pure sul senso dell’impresa, come avrebbe scritto poco dopo, il 3 luglio, a Franz Brendel, suo successore alla guida della «Neue Zeitschrift für Musik»:
L’esecuzione è proceduta in maniera eccellente. L’impatto globale mi è sembrato buono e superiore alla Peri, ed è certo conseguenza della poesia assai più grandiosa, che ha pure sollecitato un maggior impegno delle mie forze. […] Più di tutto mi ha fatto piacere sentire da molti che solo la musica aveva reso loro davvero chiara la parola. Perché spesso temevo l’accusa: «a che serve la musica per una poesia di tale compiutezza?» – D’altra parte sentivo, da che conosco questa scena, che proprio la musica avrebbe potuto conferirle un più grande effetto.28
Quanto Schumann affermava era in parte riduttivo; certo era vero, poiché il musicista si mise al servizio della parola: ma proprio in quanto si sottomise ad essa, riuscì ad estrarne la purezza in termini musicali. Se consideriamo la Trasfigurazione nelle parti totalmente ascrivibili alla prima stesura del 1844,29 ossia escludendo il coro «Gerettet ist das edle Glied», che fu rielaborato nel 1848,30 e il Coro mistico risalente al 1847,31 ravvisiamo la preferenza per un’intonazione pressoché sillabica del canto solistico e corale, nel rispetto della prosodia e del senso della parola, ma soprattutto un criterio di strumentazione e armonizzazione limpido, dai colori non accesi, e scelte di tempi moderati. Attraverso la stabilità interna delle aree tonali, ad esempio il fa maggiore con cui si apre il primo numero, e la scrittura di melodie pure affidate a singoli strumenti, lasciate nude o combinate a canone, Schumann crea una musica purificata. È il suono della purezza poetica con cui Goethe innalza la parte immortale di Faust al di sopra dell’agire terreno; è anzi il vibrare dell’aria rarefatta delle gole montane che sono il luogo dell’ascesi per gli anacoreti e le penitenti e dove viene condotta, per superiore elevazione, quella parte di Faust.32
Tuttavia l’idea d’infondere maggior effetto nella poesia di Goethe si tradusse anche in un potenziamento della parola che si discostava dalla compostezza del nucleo primigenio del lavoro. Il coro «Gerettet ist das edle Glied», che sta al centro della Trasfigurazione (n. 4), fu ripetuto nella redazione definitiva del ’48 in coda a questa sezione in 4/4 con valori ritmici più netti rispetto all’abbozzo in 6/8,33 col risultato d’inserire un momento vivace e pomposo che stride sia con Goethe sia con la musica circostante. Il poeta affida i versi agli angeli,34 e dunque, per quanto la salvezza rappresenti la chiave di volta di tutto, è lecito immaginare sonorità eteree e disincarnate; Schumann invece, pur inserendo un dialogo leggero di voci angeliche tra il soprano solo e i soprani del coro,35 amplifica il giubilo del verso conclusivo «Jauchzet auf!» e insiste sulla salvezza come trionfo, ricorrendo a una polifonia serrata che prende le mosse da un ritmo puntato di stampo eroico, amplificato dai corni e dalle trombe. La ripresa schiaccia le poche battute in cui le voci femminili danno voce agli infanti beati con omofona levità,36 e lo scarto non potrebbe essere più netto con quanto segue, la raccolta e contemplativa invocazione del Doctor Marianus alla Mater gloriosa in cui Schumann ritorna musicalmente alla sfera elevata del finale goethiano. Da un lato egli ricrea l’aria rarefatta della cella più alta nelle gole montane, nonché la purezza assoluta dell’anima e del pensiero del Doctor Marianus, con un’orchestrazione fina e ridotta a otto violini, due viole e due violoncelli, con il successivo ingresso dell’arpa e dell’oboe solo.37 Dall’altro sottolinea il raccoglimento interiore con la voce del basso in unione col timbro medio-grave di viole, fagotti e violoncelli, prediligendo un’omoritmia subito estesa all’ingresso del coro.38
In alcuni casi, dunque, Schumann è un lettore fedele e cerca di estrarre il nucleo della poesia in forma sonora, aderendo a quel criterio ispiratore della purezza; in altri coglie un particolare e lo sviluppa in base al suo estro. La disomogeneità è la vexata quaestio legata alle Scene dal Faust, dove restano evidenti le stesure diverse ed è vano cercare strette ricorrenze tematiche, valide solo in alcuni casi.39 Ma la disomogeneità è anche testimonianza di un confronto con un’elevatezza poetica alle soglie dell’inattingibile. Proprio l’«Unzulängliches», l’Inattingibile che rappresenta una delle parole chiave del breve e densissimo Coro mistico finale e che si fa «Ereignis», Evento, Evidenza, fu lo scoglio di Schumann insieme all’intero Coro mistico. Nella citata lettera a Whistling egli rifletteva, dopo l’esecuzione privata del 1848, sulla propria fatica e sull’esito cui era pervenuto riguardo alla trasposizione in musica della conclusione del Faust:
Molti mi hanno detto che la musica facilita la comprensione del testo, e questo mi ha fatto molto piacere. L’effetto di singoli passi, specie subito il primo coro e poi il coro «Alles Vergängliche ist nur ein Gleichnis» era quello desiderato. […] L’ultimo coro «Das Ewig-Weibliche zieht uns hinan», sul quale il compositore è caduto alcune volte in profonda depressione e che ha scritto più volte ritenendo non fosse ancora quello giusto, ha quasi suscitato l’impressione maggiore nella sua prima veste – in modo del tutto insperato.40
Del Coro mistico Schumann concepì due versioni, la prima nell’aprile del 1847, la seconda in luglio, di certo più omogenea rispetto alla prima; in quest’ultima rese meno brusco il passaggio da pianissimo a forte e il cambio di tempo in Vivace, che terminava in un baldanzoso spirito di eroismo romantico, però cozzando con la spiritualità rarefatta di Goethe.41 A questa aderisce maggiormente, senza dubbio, la nuova stesura di luglio che, invece di scegliere l’innodia forte, mantiene una sua coerenza anche nel dimezzamento del tempo. Il ritmo della melodia che subentra42 è infatti scorrevole, si lega a quanto precede e si sviluppa nell’intreccio vocale e strumentale quasi sempre in piano o in pianissimo. In questo vi è un raccoglimento costante che meglio si avvicina alla sostanza intellettuale, di meditazione per concetti proprio al finale goethiano. La fatica di Schumann ha qui dato i suoi frutti, tuttavia la prima versione è entrata in repertorio, mentre la seconda no, rendendo vani gli sforzi per una maggior aderenza ai versi compiuti dal musicista, che pareva comunque suggerire agli esecutori la prima stesura, forse anche sulla scorta del confortante successo riferito a Whistling. Lo si evince da quanto Schumann scriveva il 10 agosto 1849 a Liszt in vista delle celebrazioni per il centenario di Goethe, nell’ambito delle quali il collega avrebbe appunto diretto la Trasfigurazione di Faust:
La Steigerung principale del lavoro risiede nel poco a poco crescendo del numero 7, dalle parole «Alles Vergängliche» fino a «Das EwigWeibliche zieht uns hinan». Sebbene alla breve, non attacchi troppo veloce il coro finale, come peraltro è nel carattere dell’intero lavoro, che vorrei definire quieto, profondamente pacifico.43
Il «poco a poco crescendo» esiste in entrambe le versioni, la prima fa seguire ad esso il cambio di tempo notato materialmente alla breve con agogica lebhaft, la seconda opta per il citato dimezzamento. È strano però che Schumann caldeggiasse uno stile esecutivo corrispondente in realtà alla seconda versione, dove il rapporto di tempo più naturale, unito al tema dolce e non eroico, rappresenta uno degli elementi fondamentali che danno coesione alla pagina finale. Questa omogeneità fu meglio perseguita nella seconda stesura, e forse nella prima il compositore, come abbiamo visto segnato dal confronto con l’Inattingibile goethiano, riteneva comunque impari il confronto, in quanto ciò che è sintetico ed ermetico in Goethe, viene dilatato e ampliato in Schumann dalla forma musicale. Il rigore del contrappunto di derivazione liturgica, sulla scia delle allusioni cristiane di Goethe, rimane solo nelle intenzioni uno strumento di classicità, perché nella loro asciuttezza classica i versi finali costituiscono davvero un passo d’inattingibile perfezione cui l’originario carattere trionfale non rende giustizia. Che questo finale, tuttavia, non sia stato scartato è dovuto in parte a Clara, la quale ammirava comunque di più la nuova stesura:
Nell’edizione dell’opera Robert probabilmente manterrà il coro finale composto successivamente, davvero superiore al primo in termini musicali. In tutto questo io rinuncio con dolore al primo, e se fosse per me verrebbero stampati entrambi i cori.44
Ad ogni modo, oltre alla ricerca della purificazione, non sempre al medesimo livello di riuscita, un fattore di unità tuttavia esiste nelle Faust-Szenen, e si spiega con l’altro elemento che Schumann andava cercando nel Faust e che determina i passi scelti dal Faust I e il loro rapporto con quelli della scena ultima del Faust II. Nel primo manoscritto della Trasfigurazione, quello risalente al 1844, Schumann annotò poco prima di alcuni schizzi per il Coro mistico, ma forse in un periodo successivo a questi, un piano allargato dell’opera che faceva precedere la scena finale del Faust da tre episodi del Faust I: la scena nel giardino, Margherita all’arcolaio e la scena nel Duomo.45 Non vi sono documenti che permettano di stabilire con esattezza quando e perché la canzone all’arcolaio fu sostituita dall’invocazione di Gretchen alla Mater dolorosa, tuttavia sembra ragionevole ipotizzare che ciò sia avvenuto non prima del 1848, quando si tenne l’esecuzione privata a Dresda di quanto già composto, ma prima del lavoro di ampliamento delle scene. Richard Green, sulla base di un’annotazione nei diari, sostiene che Schumann rimase impressionato dalla medesima scena composta da Radziwiłł ascoltata nel 1847,46 ma non è detto che sia questa la scintilla per averla a sua volta messa in musica. Il motivo del cambio, piuttosto, si può evincere dal rapporto che l’invocazione alla Mater dolorosa intesse con la scena ultima, rapporto sul quale è imperniata la più generale relazione che Schumann vede tra il Faust I e il Faust II.
Non dimentichiamo che quell’idea originaria di ampliamento sul manoscritto non comprendeva ancora la prima scena del Faust II e la morte di Faust, ma poneva in successione diretta i tre momenti del Faust I con il finale del secondo, numerandoli da 1 a 4. Non sappiamo se si tratti di un errore di grafia o di trascrizione il fatto che Schumann indichi il quarto numero come «Fine della terza parte» [corsivo nostro], in quanto la numerazione successiva dei brani non fa ancora pensare all’idea d’inserirvi in mezzo una seconda parte, quella imperniata sulla fine della vita terrena del protagonista. Ad ogni modo nella conclusione del Faust II il personaggio «Una penitente» è da Goethe indicato come la donna che un tempo era chiamata Margherita: tale penitente ottiene dalla Mater gloriosa di poter condurre Faust nella nuova e luminosa vita al di sopra della sfera terrena, dopo aver invocato la stessa Mater gloriosa con le parole «Neige, neige, / Du Ohnegleiche, / Du Strahlenreiche, Dein Antlitz gnädig meinem Glück!» (vv. 12069-12072, «Volgi, volgi, / o Senza Pari, / o Radiosa, / il tuo sguardo benigno alla mia gioia»).47 È il medesimo Goethe a stabilire un collegamento diretto con la scena del bastione nel Faust I e con l’invocazione alla Mater dolorosa. Lì Margherita, infatti, dice: «Ach, neige / Du Schmerzenreiche, / Dein Antlitz gnädig meiner Not!» (vv. 3587-3589, «Volgi, / o Dolorosa, / il tuo sguardo alla mia pena»).48 Questo passo viene in tutto rovesciato nella scena ultima del Faust II, e Schumann, intonandole entrambe seppure in modo differente e senza parentele tematiche,49 sottolinea il legame e il rapporto fra le medesime. Stupisce l’osservazione di Sams, per il quale Schumann «ignora passaggi verbali ovvi come […] il deliberato riferimento chiastico che si origina da “Neige, neige” nella terza parte verso “Ach, neige” della prima parte»,50 in quanto la non coincidenza tematica fra i due pannelli ci sembra un criterio restrittivo. Invece è proprio il rapporto di senso fra questi due momenti a generare il rapporto di senso interno alle Faust-Szenen di Schumann. In un caso Gretchen, in una solitudine priva di speranza, è la tormentata vittima della seduzione di Faust, il quale la conduce al peccato d’onore; nell’altro è Gretchen, pentita e contornata dalle voci degli infanti beati, ad accogliere la parte immortale di Faust, svincolato dallo Streben terreno ma anche dal legame con Mefistofele e col peccato. È anzi giusto che Schumann intoni le due parti in modo differente, in un caso in tempo inquietamente mosso e nella tonalità di la minore, nell’altro con un accelerando vivace alla breve in mi maggiore, dove la voce piana è in unisono con gli strumenti acuti. È uno stato nuovo come quello di Faust, e tale condizione del protagonista può anche fornire un motivo al titolo attribuito da Schumann all’ultima scena, ossia “Trasfigurazione”, poiché qui Margherita prosegue nell’invocare la Mater gloriosa intonando le parole «Der früh Geliebte, / Nicht mehr Getrübte, / Er kommt zurück» (vv. 12073-12075, «Chi in altro tempo ho amato, / ormai senza più errore / è ritornato»).51 Faust torna sì, ma a un livello più alto, non tanto redento, quanto piuttosto trasfigurato, liberatosi dal peso terreno per librarsi verso l’alto in una dimensione superiore condotto da Margherita, già salvata al termine del Faust I.
Il compimento a un livello superiore del rapporto tra Faust e Margherita è, dunque, ciò che interessa a Schumann, una purificazione ideale e musicale. Sebbene lungo un percorso ricco d’interruzioni e di riflessioni, l’approdo a quelle tre scene del Faust I sembra quasi una giustificazione a posteriori del senso che Schumann aveva visto nella scena ultima del Faust II. Ancora una volta le lettere scambiate con Liszt permettono di gettare luce su questo aspetto, in quanto cadono in un momento in cui Schumann si stava interrogando sul significato delle Faust-Szenen. Il 30 maggio 1849 Liszt aveva fatto chiedere a Schumann dall’amico pianista e compositore Carl Reinecke se l’epilogo del Faust sarebbe stato pubblicato, poiché intendeva eseguirlo. Schumann, che aveva visto Reinecke a Dresda, rispose così il giorno dopo:
Circa la Sua richiesta per la Scena dal Faust non posso darLe una risposta precisa. Per i mezzi che esige, il brano mi sembra in verità troppo breve, e ho sempre pensato di aggiungervi qualcos’altro dal Faust – non ci sono ancora arrivato finora, ma spero sempre. Per com’è adesso il pezzo, non voglio renderlo pubblico.52
Schumann quindi era pienamente conscio della necessità di scrivere una musica adeguata alla grandezza della fonte goethiana, con un maggiore impiego di mezzi anche formali. Se dunque l’idea di ampliare la composizione con altre scene dal Faust allignava nella sua mente, si deve a Liszt lo sprone che la fece tramutare in realtà. Due mesi dopo, il 21 luglio, Schumann offriva a Liszt la composizione arricchita di nuove pagine:
Spiriti benigni mi hanno già aiutato a realizzare il proposito, di cui già Le scrissi, di comporre ancora diversi numeri tratti dalla prima parte del Faust. Si sono aggiunte la scena nel giardino e la scena nel Duomo con il Dies irae. Il tutto (con la scena finale) durerebbe al massimo un’ora.53
Come si vede, non era ancora menzionata né la scena di Margherita all’arcolaio né quella sul bastione, forse perché cadde proprio in quel momento il cambio di progetto o perché Schumann vi stava ancora meditando, andando in direzione della preghiera di fronte all’edicola della Madonna sul bastione. Difatti il seguito della missiva rivela giusto il rapporto diretto che si sarebbe instaurato fra la Trasfigurazione e una scena che prevedeva la sola Gretchen:
Alla scena finale, possibilmente nel quadro conclusivo (circa alle parole: Das EwigWeibliche zieht uns hinan), si dovrebbe accordare il ricongiungimento di Faust e Margherita di fronte alla Mater gloriosa.54
È vero che il musicista aggiungeva subito dopo «ma queste sono tutte cose particolari»,55 tuttavia dalla premura d’indicare un particolare emergeva il senso generale della composizione, che avrebbe fatto coincidere con il Coro mistico e con i versi dell’eterno femminino che ci trae verso l’alto una trasfigurazione non solo di Faust, ma della coppia Faust-Margherita. Il parallelo verbale, che per Sams Schumann ignorò, fu invece con molta probabilità quello che portò il compositore a scartare la canzone all’arcolaio in favore della preghiera di Gretchen.56 Delle musiche schumanniane Liszt diresse poi a Weimar solo la Trasfigurazione57 il 29 agosto, giorno successivo al centenario della nascita di Goethe, che vide l’esecuzione simultanea del medesimo pezzo anche a Dresda, con Schumann, e a Lipsia con Julius Rietz.
Con il parallelo instaurato attraverso questi collegamenti tra il Faust I e il Faust II, Schumann evidenziò due volti del medesimo nucleo della tragedia goethiana nel suo passaggio dall’una all’altra parte: il superamento dello Streben faustiano attraverso lo svincolarsi dalle cure terrene con l’elevazione della parte immortale nella sfera eterea, nonché il superamento del conflitto tra Faust e Margherita, ricomposto ugualmente nella sfera eterea, forse non senza un valore simbolico riferito alla coppia uomo-donna in senso generale. Quello dell’elevazione, del superamento era un tema che investiva anche altri lavori cui Schumann attendeva nel lungo periodo della genesi completa delle Faust-Szenen, nella seconda metà degli anni Quaranta dell’Ottocento. Il soggetto del Manfred s’intrecciò a quello goethiano del Faust a partire dal 1848 nella forma di musiche evocanti la scena per il poema drammatico di Byron, da Schumann offerte giusto a Liszt per un’esecuzione ancora a Weimar, che ebbe luogo il 13 giugno 1852. L’anno dopo Schumann avrebbe suggellato le Faust-Szenen con la scrittura dell’ouverture. Manfred era l’altro esempio supremo dello Streben, ma in chiave assai più tempestosa. Sul parallelo Sams ha osservato:
L’eroe di Byron è un mini-Faust, tanto più veemente in quanto più piccolo di statura. Teme ma sfida la cecità, la vertigine, la follia e la morte; è tormentato e braccato dalla colpa e dalla vergogna; la sua anima è contesa da spiriti buoni e maligni; ma alla fine gli è concesso di trovare la sua pace e una porzione d’immortalità. Tutto questo, pressoché alla lettera, fu l’esperienza personale vissuta da Schumann.58
Nel medesimo periodo Schumann affrontava in musica due differenti tensioni verso l’idealità, verso l’assoluto. Ma la pace cui approda la peripezia di Manfred è solamente la morte, un trapasso per il quale il musicista scrive un breve Requiem corale su testo latino dopo aver narrato con l’ausilio del suono avventure e incontri del protagonista. La pace delle Faust-Szenen è invece dopo la morte, è la musica della trasfigurazione che segue il distacco terreno della morte, l’ultimo pannello – come visto – inserito nel disegno complessivo, che a sua volta era nato fra le gole montane dell’ultima scena goethiana e nel confronto sofferto con il Coro mistico. Sul piano intellettuale, dunque, le Faust-Szenen si collocano al di sopra del Manfred andando oltre il tema romantico dell’anelito alla quiete dopo le tempeste dell’esistenza, che erano indubbiamente parte dell’uomo e dell’artista Schumann. Tale anelito è spostato su un piano superiore nel momento in cui la creatività schumanniana v’intreccia un altro filone, anticipato dal Paradiso e la Peri, culminante nel Faust e chiarito dal coevo Pellegrinaggio della rosa: il tema della redenzione che si ottiene attraverso la purezza, attraverso l’elevazione rispetto al mondo umano. L’ultimo oratorio, composto nel 1851 dopo le Szenen aus Goethe’s Faust, porta in sé alcune reminiscenze di queste, nella veste di formule cadenzali evidenziate da Gerd Nauhaus, che ne riconosce tuttavia il limitato impiego.59 Difatti, aggiungiamo, non è tanto questa la via della similitudine fra i due lavori. È invece il processo di avvicinamento a uno stadio più alto, compiuto, sciolto dagli affanni che avvicina il Faust e la Rosa, certo qui in un ambito più raccolto e fiabesco, quello dell’essere di natura che, dal suo stato elementare, diviene fanciulla, prova le gioie e i dolori dell’esistenza umana e raggiunge il Paradiso.
Negli ultimi suoi anni Schumann insisteva dunque molto, in ambito compositivo, sull’approdo a una pacificazione dei contrasti dell’esistenza, sul superamento dello Streben in una dimensione di compiuto appagamento, per Manfred, la Rosa, Faust. Non è forse neppure da escludere un riferimento personale, privato, nel senso individuabile all’interno delle Faust-Szenen: il ricongiungimento della coppia Faust-Gretchen di fronte alla Mater gloriosa al di sopra delle passioni e degli affanni. Poteva essere il desiderio di trasferire il proprio rapporto di coppia con Clara in una dimensione pacificata, armonica, di compiuta e appagata unità. Con l’insorgere della malattia nervosa nel periodo di Dresda, Robert aveva iniziato a dipendere in maniera psicologica da Clara, specie quando la moglie era assente per concerti o visite ai parenti a Lipsia, così che l’unità della coppia veniva a mancare, facendo molto patire il compositore.60 Dopotutto anche Genoveva, l’unica opera di Schumann che s’intreccia negli anni della sua genesi alle Faust-Szenen e al Manfred creando quella che è stata definita una trinità di opere,61 narra – pur nella fantasiosa e cavalleresca vicenda medievale – di una coppia separata e poi ricongiunta. Il lieto fine era una variante operata da Schumann sulle fonti, specie sul modello che sentiva più vicino, l’omonima tragedia di Hebbel che portava in scena l’unità perduta.62 È certo vero che la peripezia e la ricongiunzione di una coppia è un topos dell’opera romantica, come ad esempio nell’Euryanthe e nell’Oberon di Weber, tuttavia Schumann, che aveva scartato diversi soggetti,63 affronta il tema nello stesso momento in cui evidenzia la separazione e la riunione di Faust e Gretchen come criterio nella scelta degli episodi goethiani.
1 Schumann Briefedition. Serie I. Familienbriefwechsel. Band 3. Briefwechsel Robert und Clara Schumanns mit der Familie Bargiel, hrsg. von Eberhard Möller, Köln, Dohr, 2011, p. 348. Woldemar Bargiel, fratellastro di Clara e cognato di Robert, curò nel 1858 la prima edizione a stampa delle Scene dal Faust. Laddove non diversamente indicato, le traduzioni sono nostre.
2 Robert Schumann. Thematisch-Bibliographisches Werkverzeichnis, von Margit L. McCorkle, unter Mitwirkung von Akio Mayeda und der Robert-Schumann-Forschungsstelle, hrsg. von der Robert-Schumann-Gesellschaft Düsseldorf, München, G. Henle, 2003, p. 630. Cfr. ad esempio Robert Schumann’s Werke, hrsg. von Clara Schumann, Serie IX. Grössere Gesangswerke mit Orchester oder mit mehreren Instrumenten. Scene aus Goethe’s Faust, Leipzig, Breitkopf und Härtel, 1883.
3 Adottiamo qui la grafia e la denominazione corrente dell’opera.
4 Wolfgang Seibold, Robert und Clara Schumann in ihren Beziehungen zu Franz Liszt. Im Spiegel ihrer Korrespondenzen und Schriften, Teil 1, Frankfurt am Main [etc.], Peter Lang, 2005, pp. 210-219.
5 Michael Short – Leslie Howard, Ferenc Liszt (1811-1886). List of Works. Elenco delle opere, Milano, Rugginenti, 2004, p. 19.
6 Cfr. Rossana Dalmonte, Franz Liszt. La vita, l’opera, i testi musicati, Milano, Feltrinelli, 1983, p. 71 e p. 131; Wolfgang Dömling, Franz Liszt und seine Zeit, Laaber, Laaber Verlag, 1985, pp. 103-104.
7 Robert Schumann in Endenich (1854-1856). Krankenakten, Briefzeugnisse und zeitgenössische Berichte, hrsg. von Bernard R. Appel, Mainz [etc.], Schott, 2006 (Schumann Forschungen, 11). Cfr in particolare la ristampa ivi contenuta di Franz Hermann Franken, Robert Schumann in der Irrenanstalt Endenich. Zum Verlaufsbericht seines behandelnden Arztes Dr. Franz Richarz [1994], pp. 442-447; esso segue l’intera documentazione clinica contenuta nelle pp. 44-440.
8 È la copia conservata allo Schumann-Haus di Zwickau, come ricorda anche Richard D. Green, Schumann, Goethe und die “Szenen aus Faust”, in Schumann-Studien 7, hrsg. von Anette Müller, Sinzig, Studio-Verlag, 2004, p. 53.
9 Robert Schumann, Tagebücher. Band II. 1836-1854, hrsg. von Gerd Nauhaus, Leipzig, Deutscher Verlag für Musik, 1987, p. 284, annotazione del 27 febbraio all’interno degli appunti di viaggio (Reisenotizen).
10 Ivi, p. 329.
11 Ivi, p. 287.
12 Ivi, p. 417.
13 Robert Schumann. Thematisch-Bibliographisches Werkverzeichnis, cit., p. 627.
14 Cfr. la tabella riassuntiva in W. Seibold, Robert und Clara Schumann in ihren Beziehungen zu Franz Liszt, Teil 1, cit., p. 209.
15 Robert Schumanns Briefe. Neue Folge, hrsg. von F. Gustav Jansen, Leipzig, Breitkopf und Härtel, 1904, p. 244. L’ipotesi di datazione del curatore, ottobre 1844, è stata corretta in 17 gennaio 1845, cfr. Robert Schumann. Thematisch-Bibliographisches Werkverzeichnis, cit., p. 627.
16 Parma, Teatro Regio, 13-26 gennaio 2008, maestro concertatore e direttore Donato Renzetti, regia, scene, costumi e luci Hugo de Ana.
http://www.teatroregioparma.org/stagionelirica2008/szenen/szenen.htm.
17 R. D. Green, Schumann, Goethe und die “Szenen aus Faust”, cit., p. 49.
18 Ivi, pp. 50-52.
19 Sulla commistione di generi e il teatro immaginario della Damnation de Faust cfr. Laura Cosso, Hector Berlioz, Palermo, L’Epos, 2008, pp. 266-270.
20 Per la successione cfr. Robert Schumann. Thematisch-Bibliographisches Werkverzeichnis, cit., p. 627.
21 Ivi, p. 631.
22 W. Seibold, Robert und Clara Schumann in ihren Beziehungen zu Franz Liszt, cit., Teil 2, p. 71.
23 Robert Schumanns Briefe, cit., p. 454.
25 R. D. Green, Schumann, Goethe und die “Szenen aus Faust”, cit., p 53. Aggiungiamo che Mendelssohn aveva composto una prima versione della Erste Walpurgisnacht fra il 1830 e il 1832 e l’aveva sottoposta a profondi cambiamenti tra il 1842 e il 1843, cfr. Maria Teresa Arfini, Felix Mendelssohn, Palermo, L’Epos, 2010, pp. 258-259.
26 Schumann Briefedition. Serie II. Freundes- und Künstlerbriefwechsel. Band 1. Robert und Clara Schumann im Briefwechsel mit der Familie Mendelssohn, hrsg. von Kristin R. M. Krahe, Katrin Reyersbach und Thomas Synofzik, Köln, Dohr, 2009, p. 227.
27 Ivi, p. 229.
28 Cit. in Georg Eismann, Robert Schumann. Ein Quellenwerk über sein Leben und Schaffen. Band 1. Briefe, Aufzeichnungen, Dokumente, Leipzig, Breitkopf und Härtel, 1956, p. 162.
29 Cfr. Kathrin Leven-Keesen, Robert Schumanns “Szenen aus Goethes Faust” (WoO 3). Studien zu Frühfassungen anhand des Autographs Wiede 11/3, Berlin, Kuhn, 1996, pp. 131, 286, 295.
30 Ivi, p. 188.
31 Robert Schumann. Thematisch-Bibliographisches Werkverzeichnis, cit., p. 627.
32 Szenen aus Goethe’s Faust. Dritte Abtheilung. Nr. 7: Faust’s Verklärung, n. 1, «Waldung, sie schwankt heran». A tali esiti di purezza, ma con senso diverso, perverrà Gustav Mahler nella seconda parte dell’Ottava Sinfonia (1906).
33 Cfr. K. Leven-Keesen, Robert Schumanns “Szenen aus Goethes Faust”, cit., p. 189 per il quadro generale degli schizzi, pp. 256-278 con riferimento alla parte quarta della Trasfigurazione. Per la versione definitiva cfr. R. Schumann, Scenen aus Goethe’s Faust, partitura, cit., pp. 207-224.
34 Johann Wolfgang Goethe, Faust, introduzione, traduzione con testo a fronte e note a cura di Franco Fortini, Milano, Mondadori, 1970, pp. 1044-1046, vv. 11942-11953.
35 R. Schumann, Scenen aus Goethe’s Faust, partitura, cit., pp. 194-196 (dall’Allegretto ad A).
36 Ivi, pp. 205-206 (Etwas langsamer).
37 Ivi, n. 5, p. 225.
38 Ivi, n. 6, pp. 230 e segg.
39 È il caso di Donald Mintz, Schumann as an Interpreter of Goethe’s “Faust”, «Journal of the American Musicological Society», XIV, 2 (Summer 1961), pp. 235-256. Mintz si è sforzato d’individuare tre cellule ricorrenti con una funzione precisa, come l’intervallo di terza minore ascendente quale simbolo della sofferenza, una figurazione discendente come idea del fervore religioso (un aspetto discutibile), nonché il ricorso a intervalli di sesta ascendente e discendente, a nostro avviso però talmente estensivo da non avere significati particolari. Sams, pur senza citarlo direttamente, ha preso in burla le trasformazioni di cui sono capaci gli analisti, facendo assomigliare un tema a qualsivoglia melodia, rilevando come le seste siano un elemento che caratterizza l’aspetto discorsivo in seno al canto; cfr. Eric Sams, Schumann and Faust, «The Musical Times», CXIII, 6 (June 1972), p. 544.
40 Robert Schumanns Briefe, cit., p. 454.
41 R. Schumann, Scenen aus Goethe’s Faust, partitura, cit., p. 254.
42 Ivi, p. 286.
43 W. Seibold, Robert und Clara Schumann in ihren Beziehungen zu Franz Liszt, cit., Teil 2, p. 72.
44 Cit. in Berthold Litzmann, Clara Schumann. Ein Künstlerleben. Nach Tagebüchern und Briefen. Band 2. Ehejahre, Leipzig, Breitkopf und Härtel, 1905, p. 195. Difatti l’edizione a stampa riporta entrambe le versioni.
45 Cfr. la trascrizione in K. Leven-Keesen, Robert Schumanns “Szenen aus Goethes Faust”, cit., p. 411.
46 R. D. Green, Schumann, Goethe und die “Szenen aus Faust”, cit., pp. 51-52.
47 J. W. Goethe, Faust, trad. F. Fortini, cit., pp. 1054-1055.
48 Ivi, pp. 324-325.
49 R. Schumann, Scenen aus Goethe’s Faust, partitura, cit., III, 7, p. 240, soprano con coro; I, 2, pp. 34-38.
50 E. Sams, Schumann and Faust, cit., p. 546.
51 J. W. Goethe, Faust, trad. F. Fortini, cit., pp. 1054-1055.
52 W. Seibold, Robert und Clara Schumann in ihren Beziehungen zu Franz Liszt, cit., Teil 1, pp. 210-211.
53 Ivi, p. 211.
54 Ibidem.
55 Ibidem.
56 Lo studioso individua però una comunanza stilistica fra questa e i Mignon-Lieder, cfr. E. Sams, Schumann and Faust, cit., p. 545.
57 Precedette la Nona Sinfonia di Beethoven, cfr. W. Seibold, Robert und Clara Schumann in ihren Beziehungen zu Franz Liszt, cit., Teil 1, p. 217.
58 E. Sams, Schumann and Faust, cit., p. 545.
59 Gerd Nauhaus, “Der Rose Pilgerfahrt“ op. 112: Schumanns Abschied vom Oratorium, in Robert Schumann in Düsseldorf. Werke – Texte – Interpretationen. Bericht über das 3. Internationale Schumann-Symposion am 15. und 16. Juni 1988 im Rahmen des 3. Schumann-Festes Düsseldorf, hrsg. von Bernhard R. Appel, Mainz [etc.], Schott, 1993, p. 191.
60 Nancy B. Reich, Clara Schumann. The artist and the woman, Ithaca – London, Cornell University Press, 1985, p. 129.
61 È il giudizio di Ernst Bücken ripreso in Arnfried Edler, Robert Schumann und seine Zeit, Laaber, Laaber-Verlag, 1982, p. 249.
62 Ivi, p. 239.
63 Schumann Handbuch, hrsg. von Ulrich Tadday, Stuttgart [etc.], Metzler – Bärenreiter, 2006, p. 499.