Le malattie delle filatrici della seta nelle opere di autori italiani del Settecento

Autori

  • Cristina Ravara Montebelli storica della seta

DOI:

https://doi.org/10.13135/2724-4954/11727

Abstract

Lo scarso interesse dimostrato fino ad oggi per le malattie professionali che in passato affliggevano le filatrici di seta ci ha spinto a cercare chi se ne fosse occupato nel XVIII secolo, a partire dal padre della medicina del lavoro, Bernardino Ramazzini, citato dagli autori successivi. Nella sua opera De morbis artificum diatriba però il medico emiliano non si è riferito alle filatrici di seta, bensì ai conciatori di bavella. Pertanto nel presente contributo, dopo avere chiarito la differenza tra le due tipologie di lavoro e illustrato in particolare quello delle filatrici, abbiamo analizzato le opere di altri autori del Settecento – non solo medici – che hanno descritto le patologie di queste lavoratrici. Per trovare un medico che si occupi delle filatrici si deve attendere il 1776. È il nobile padovano Antonio Pimbiolo, professore di medicina teorica all’Università di Padova, a sostenere addirittura errate le opinioni di Ramazzini sulla dannosità degli effluvi del baco da seta e il primo a osservare le “passioni isteriche” degli addetti a quelle attività, anche dando consigli su medicinali e salubrità dei luoghi di lavoro. L’anno successivo Carlo Bettoni, fondatore dell’Accademia Agraria di Brescia, si dedica non solo alle malattie delle filatrici, ma inventa una caldaia per evitare loro di scottarsi le mani e di soffrire quindi di patologie cutanee. Il primo però a riconoscere le loro malattie come professionali è il chirurgo piemontese Vincenzo Malacarne, il quale propone di curarle con decotti di erbe. L’ultimo, a fine secolo, è il prevosto Carlo Castelli, professore di fisica a Milano, che per proteggere le mani delle filatrici propone di filare la seta a freddo.

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Pubblicato

2025-02-23 — Aggiornato il 2025-02-23

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