Documents, Public Information and the Historian: Perspectives on Fifth-Century Athens
DOI:
https://doi.org/10.13135/2039-4985/2589Abstract
Anche dopo l’intenso dibattito che, a partire dagli anni '80 del secolo scorso, ha mirato a dar conto dell’impatto della diffusione della scrittura e della «literacy» sulla cultura tradizionalmente orale del mondo greco, lo statuto e il significato dei documenti epigrafici rimangono ancora non sempre ben chiariti. Gli studiosi hanno analizzato le dinamiche dell’«abitudine epigrafica» ateniese ma la questione fondamentale del perché i testi venissero iscritti su materiale durevole, se con valore funzionale oppure con significato simbolico, ideologico e religioso, è tuttora dibattuta. L’articolo si propone di contribuire alla discussione su questi aspetti collocando il fenomeno epigrafico nel quadro più ampio della produzione di documenti su materiale deperibile per l’affissione pubblica, che dobbiamo immaginare come un regolare strumento di comunicazione e di diffusione delle informazioni ufficiali, e per la conservazione in archivio – pratiche scrittorie rispetto alle quali già un passo delle Supplici di Eschilo (942-949) rivela la familiarità del pubblico ateniese. Si insiste sul carattere selettivo della pubblicazione epigrafica, su come la conservazione dei documenti in archivio sia anteriore alla creazione del Metroon alla fine del V sec. e appaia anzi presupposta dalla procedura della graphe paranomon e dai processi dell’iter legislativo e giudiziario, e sull’importanza, come strumento euristico, dello studio dei dossier e dei titoli epigrafici. Nell’ultima parte della relazione si confrontano i risultati di tale indagine con il contemporaneo uso dei documenti nell’opera di Tucidide. A titolo esemplificativo vengono considerati il trattato tra Argo e Sparta (5,41), il dossier di testi relativo alla tregua di un anno stipulata da Sparta e Atene nel 423 (4,118-119) e i decreti ateniesi sulla spedizione in Sicilia del VI libro.
Following the past decades when scholars have attempted to come to terms with the emergence and impact of literacy and literate culture in Greek society, and, in particular, with the ways orality and literacy interacted in the different political, cultural and religious contexts, the status and meaning of epigraphic documents still remains difficult to pin down. Recent investigations have focused on the «epigraphic habit» and examined the somewhat anomalous case of classical Athens so as to highlight, and account for, the differences from other epigraphically productive centres. However, the question why inscriptions were produced at all, whether with functional value to make information available to the public or with symbolic and ideological significance still remains highly controversial. The aim of this paper is to contribute to the discussion by placing the epigraphic habit within the larger context of the production of documents both for posting and temporary display, which must have played a significant role in the dissemination of public information, and for storing as archival records. Familiarity with such literate practices appears to be already reflected by Aeschylus in a locus of the Suppliants, most probably produced in the late 460s (942-949). It is stressed that publication on stone was selective, that archival texts were already kept in the Bouleuterion before the Metroon was established (and e.g. is taken for granted by the procedure of the graphe paranomon), and that so-called «dossiers» and «epigraphic titles» can be useful heuristic tools to shed light on archival practices. The last section of the paper compares the results of the first part with the use of documents in Thucydides. By way of example, the text of the aborted treaty between Argos and Sparta (5,41), the dossier of texts concerning the one-year truce between the Spartans (and their allies) and the Athenians of 423 (4,118-119) and the Athenian decrees for the Sicilian expedition in book 6 are briefly considered.
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